Itinerario realizzato da: F. Patini

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Tra ottobre e novembre la verde e boscosa Irpinia smette l'abito smeraldino per vestirsi di giallo, di fiamma, di ruggine: sono i colori del castagneto e della faggeta, padrona assoluta oltre i mille metri e pronta, in autunno avanzato, a coprirsi nelle distanze come di un velluto violetto. E' proprio per vivere tali splendidi ambienti che vi invitiamo a visitare le alture del Partenio e dei Picentini, terre d'altra parte non prive di preziose emergenze culturali. I vasti castagneti non sono spontanei ma dovuti all'opera dell'uomo, datando dal Mille in poi, specie sui fianchi del Partenio, la loro diffusione in grande stile: una trasformazione del paesaggio suscitata da monasteri e altri insediamenti ecclesiali, primo tra questi il famoso santuario di Montevergine derivato dall'eremo in cui si ritirò verso gli inizi del 1100 San Guglielmo da Vercelli, incurante del clima non sempre ospitale a 1.240 metri di quota. Vi arriveremo più avanti. Intanto fermiamoci nel primo paese sulla nostra strada, che è Mercogliano, di espansione recente nella parte bassa ma dove un centro storico a gradinate d'origine altomedioevale sale ad alcuni resti di un castello di fondazione normanna.

Il sito si chiama Capocastello e potrete arrivarci anche in camper per una laterale da prendere all'uscita dal paese; la stessa continua poi per cinque chilometri in alta collina fino alla selva che nasconde la fonte dell'Acqua Fidia. Di qui per sentiero ci si può spingere fino al versante nord della montagna.
A Mercogliano sorge, isolato a valle dall'abitato, un monumento assolutamente da non perdere. Il rigido clima di Monte Vergine (nome dovuto non al culto della Madonna ma all'ambiente intatto e selvaggio) era stato causa di sofferenze per i monaci, la cui salute risentiva anche per la rigorosa regola di San Guglielmo che proibiva nell'area sacra l'uso di carni, uova, latticini. L'odierno palazzo abbaziale di Loreto, dipendenza del santuario verginiano, fu l'erede di una prima costruzione eretta appunto per ospitare e curare i monaci anziani nei periodi più freddi dell'anno. Nel Settecento la riedificazione, seguita a un terremoto, fu opera dell'architetto napoletano Domenico Antonio Vaccaro.
Per parcheggiare, un comodo spazio non riconoscibile a priori si trova girando sulla destra nel piazzaletto all'entrata del palazzo. Converrà lasciarvi il mezzo anche dopo la visita per vedere la storica biblioteca di Montevergine, che ha l'ingresso su un altro versante del recinto. Duecentomila i titoli. Ma oltre ai libri il tesoro sta nel materiale raccolto in ogni tempo dai monaci. Si va dalle pergamene risalenti agli ultimi anni del primo millennio, ai codici miniati del Duecento, agli incunaboli che segnarono gli esordi dell'arte della stampa, alle numerosissime cinquecentine, al Settecento con certe deliziose tavole figurate d'agrimensura. La mostra permanente "Dal papiro al libro a stampa" interesserà infine anche chi pensava di entrare solo per accompagnarci i ragazzi.

 

Verso il santuario

irpinia-torreCircondato dai castagneti in una sorta di ripido golfo della montagna, il piccolo centro di Ospedaletto d'Alpinolo fu creato nella seconda metà del XII secolo dai monaci verginiani per favorire l'aggregazione dei contadini che vivevano in miseri casolari sparsi. Per lungo tempo il paese restò punto di riferimento per i gruppi di fedeli che salivano al santuario percorrendo tra canti dialettali di devozione la storica mulattiera al santuario. Il suggestivo tracciato, spesso ombreggiato dal bosco, è frequentato ormai da pochi. Chi voglia compiervi una breve passeggiata troverà sulla destra, dopo un quarto d'ora di salita, la cosiddetta Sedia della Madonna, naturale poltrona calcare a levigata dall'uso secolare. Comunque, la sosta a Ospedaletto potrà servire ad acquistare qualche collanina delle tradizionali nocciole tostate e gli svariati tipi di torrone (cupeto) che insieme ad altri dolciumi sono il vanto delle piccole fabbriche della zona. Con il castagneto e la faggeta, il noccioleto in pianura è infatti la terza presenza arborea caratterizzante il paesaggio dell'Irpinia.
Dopo, con tornanti e tornantini, il camper ci conduce al santuario.


Nella zona più interna del piazzale del monastero di Montevergine si leva un'imponente chiesa eretta nel 1961. Lasciamo al lettore ogni giudizio estetico; noi scegliamo di entrare per il portone che dà direttamente sulla pal1e antica del complesso. Dalle arcate del semichiostro, salendo per la storica scala angolare che in altri tempi i devoti affrontavano ginocchioni, si spunta in un atrio con due archi gotici, di qui nella chiesa vecchia, frutto di un non disprezzabile intervento d'epoca barocca. Abbiamo dunque un piccolo quadro delle varie trasformazioni: il gotico d'epoca angioina, le arcate del Cinquecento, la chiesa del Settecento, in asse con la prima chiesa romanica a tre navate. Ciò che appare sorprendente è che per fare posto all'edificio del '61 si sia potuto distruggere la navata sinistra della chiesa primitiva. Da quest'ultima passeremo direttamente nella chiesa nuova che ospita attualmente il celebre dipinto della Mamma Schiavona, meta principale dei pellegrinaggi che si svolgono tra maggio e settembre. Il dipinto, dono degli Angioini, ha una genesi complessa in quanto composto dall'unione di due tavole, la testa riferibile probabilmente ai primi del Duecento, il resto a Montano d'Arezzo nel primo decennio del Trecento. Il mistero aleggia dunque intorno alla tavola con il volto della Madonna che qualcuno non esclude possa essere l'Odigytria portata nella sua fuga da Costantinopoli dallo sfortunato imperatore Baldovino II. Meno nota, la Madonna di San Guglielmo venerata a Montevergine in precedenza è una grande tavola di produzione campana e influenza toscana, riferibile agli anni tra il 1270 e il 1280. La dolce figura, regale eppur popolaresca, è attualmente tra i pezzi più affascinanti del museo, da qualche anno completamente ristrutturato e ampliato. Altre raccolte che nel santuario meritano una visita sono la cospicua collezione internazionale di presepi (vedi Plein Air n. 278) e l'esposizione delle innumerevoli tavolette votive per grazia ricevuta.


Tutto il monte su due ruote

Dal piazzale di Montevergine parte una strada che, dopo aver superato il valico sotto un col1o tunnel, passa nei pressi di alcune antenne e scende a rasentare l'invitante pianoro di Campo Maggiore, dove si trovavano le fosse della neve che nei secoli passati fornivano ghiaccio a Napoli. Scendete pure con il mezzo a Campo Maggiore, schivando residui di piatti e bicchieri di plastica abbandonati nella buona stagione dagli immancabili selvaggi in automobile. Per fortuna tale genere di fauna non si spinge di solito oltre il Campo, forse per il netto peggioramento del fondo stradale. Non è ad ogni modo col motore che vi invitiamo a proseguire nello stupendo percorso tra bosco e pianori che si interna tra faggete le più intatte e solitarie per poi scendere tra i castagni alle falde orientali del Partenio. Se avete con voi le bici ecco l'alternativa che vi proponiamo, basata sul fatto che partendo dal santuario è duro solo il breve tratto iniziale fino al valico. Oltre, si va sempre in piano o in discesa fin quando non si sbuca sulla provinciale 374, caratterizzata da salitine e falsopiani fino a Ospedaletto. In tutto, circa 25 chilometri.
Già, e per tornare al camper parcheggiato 700 metri più in alto?

Niente paura: da Ospedaletto basta dirigere in basso, su Mercogliano. Qui vi aspetta una funicolare che in sette minuti vi porterà a qualche centinaio di metri dal piazzale del santuario. E il circuito è chiuso.
Il lato della catena meritevole di una giornata su due ruote presenta al meglio le forme del Partenio, che sono le più varie, con forre, vallette, pieghe rocciose e contrafforti che creano spesso paesaggi misteriosi. Per l'obiettivo è un'orgia di luci e naturalmente di colori. Un bel pianoro appartato è il piano Raviezzo, dove conduce uno sterrato riconoscibile dal fatto di essere situato quasi dirimpetto a un'erta stradina asfaltata che sale a un ripetitore telefonico. A piedi vi si scende in un£mezz'ora, tenendosi alla fine sulla destra. Una scoperta di altro genere ci aspetta tre chilometri più avanti prendendo una deviazione simile alla precedente, identifica bile per il suo sbocco asfaltato e i due slarghi successivi sul lato opposto della strada. A piedi o in mountain bike, la passeggiata di un paio di chilometri farà scoprire i ruderi del monastero dell'Incoronata, che ebbe breve e singolare storia. Edificato a partire dal 1577 da alcuni monaci camaldolesi, sui resti di una chiesetta, chiuso una prima volta nel 1629 e soppresso del tutto nel 1652, fu riutilizzato solo nel 1806, ma come nascondiglio del brigante Michelangel Pezza, noto come Fra' Diavolo.
Ripreso il camper, al bivio detto Acqua delle Vene (per una riconoscibile fonte sorgiva), tenendo a destra e sempre in discesa arriveremo alla 374, per incontrare presto il primo abitato, Sant'Angelo a Scala, con i resti coperti di vegetazione del palazzo di Diomede Carafa. Prima di chiudere il circuito attraverseremo Summonte, dove una torre angioina nella seconda metà del Cinquecento - feudatari i Doria - divenne il perno di un ristrutturato sistema di solide mura. La presenza a Summonte del casato genovese viene collegata allo sfruttamento dei boschi in rapporto agli interessi che essi avevano nella Marina napoletana. Nella piazza del Comune, all'uscita dall'abitato, il grande tiglio plurisecolare è un vero monumento della natura.

irpinia-chiesaArrivati al piano, è il momento di cambiar montagne, di passare cioè per Avellino per portarci verso i Monti Picentini. Nel capoluogo irpino non si è pensato ad aree di sosta o altre attrezzature riservate all'abitar viaggiando, dunque chi voglia sostarvi dovrà arrangiarsi dove possibile. L'Abellinum romana si trovava ad alcuni chilometri, presso Atripalda. Il sito di quella odierna si sviluppò invece con i Longobardi, del cui castello sono visibili i resti nella parte bassa della città. Il centro dei commerci e della vita cittadina è il lungo Corso Vittorio Emanuele II: lo si percorre a senso unico da est a ovest, mentre sulla parallela a circolazione inversa - separata da un ampio giardino comunale dagli imponenti secolari ippocastani - si trova il piccolo parco archeologico in cui ha sede un museo comunale meritevole di visita.

Oltre alle sezioni d'arte moderna e risorgimentale, vi segnaliamo nell'ampio settore archeologico gli xoana, sculture votive in legno di un santuario italico della dea Mefite che il laghetto sulfureo d'Ansanto - dalle letali emanazioni gassose sottrasse - per millenni al disfacimento. Nella stessa sezione è sistemata la tomba di un capotribù del Neolitico sepolto con un cospicuo corredo di punte di freccia, ascia da lancio e così via, ma che ebbe per compagno nell'ultimo viaggio anche il suo fedele cane.

Sui monti dell'acqua
La strada che ci permetterà di scavalcare i monti, per guadagnare l'opposto versante dei Picentini e scendere infine a Montella, parte dalle sparse frazioni di Serino per affondare subito tra estesi castagneti. Ripristinate le scorte con l'ottima acqua sorgiva di una fontana lungo la salita, il varco del Faggio ci introdurrà ad un arioso alto piano dove le faggete si vanno accendendo di rosso.

Come sul Partenio, anche sui Picentini s'aprono nel mare dei boschi ampie radure prative frequentate tra primavera e autunno da mandrie di buoi al pascolo. Si tratta di pianori carsici detti campi o piani, che con i vari inghiottitoi sparsi in tutto il massiccio collaborano ad alimentare le copiose sorgenti delle falde: qualcosa come quattromila litri al secondo in buona parte canalizzati negli acquedotti destinati a dissetare Puglia e Campania. Alcuni pianori, come Verteglia e Piano d'Ischia, vengono sfiorati dalla nostra strada; altri restano più interni e nascosti, come Campolaspierto, dove conduce una deviazione asfaltata di pochi chilometri. Molto frequentato d'estate, in questa stagione il campo rimane praticamente deserto.

E' situato ai piedi del Terminio, 1.806 metri, la cui vetta si può raggiungere di qui per il percorso più agevole e breve in un paio d'ore. Occorre prendere lo sterrato che sale sulla sinistra al termine del pianoro. La sommità è costituita da due piccole cime sotto le quali si apre il maestoso canalone roccioso del Matruneto, ma è la cima meno alta ad aprire il panorama migliore. Un altro bel punto di vista, anche se di minor angolo, si può godere dalle Ripe della Falconara: occorrerà tornare verso l'asse stradale principale, prendendo sulla destra il breve sentiero che si stacca subito prima di una modesta deviazione rotabile (quest'ultima percorribile a un camper fino al piazzaletto terminale).

Chi volesse invece scoprire il magnifico territorio in groppa a una cavalcatura potrebbe fare riferimento al maneggio Eldorado, che si trova sulla sinistra a metà della discesa su Montella. Aldo Mazzei (tel. 0827 69440), che conoscemmo anni fa e dispone ora di una dozzina di cavalli, ci ha confermato di svolgere l'attività tutto l'anno e di lasciar volentieri sostare nei propri spazi gli amici camperisti.


Siamo ormai tra i castagneti che al di sotto di quota 1.000 ci accompagneranno fino a valle, maecco sulla sinistra la possibilità di una diversione a Volturara e alla Piana del Dragone. Il nome di questo vastissimo piano carsico si lega a leggende connesse con il pauroso inghiottitoio, oggi recintato, che ne drena le acque per farle riaffiorare lontano. Situato a un estremo della piana, il paese ancora nel secolo passato tornava alle cronache per i lupi che negli inverni più gelidi si spingevano fino alle soglie dell'abitato. I pastori erano i naturali competitori di questi animali ma in tutta l'Irpinia montana era costume diffuso, dopo aver dato loro la caccia, girare con le spoglie in spalla per ricevere ricompense dalla gente. Il che di sicuro ha contribuito a ridurre, anche negli aspri Picentini, a una ventina di individui la specie che oltre due millenni or sono dette il nome alla Terra del Lupo: Irpinia (da hirpus).

Volturara resta il paese più prossimo alla cima del Terminio ma i 1.100 metri di dislivello non incoraggiano le sei ore di ascensione, por essendo bello e interessante il versante est sul quale il sentiero si sviluppa. Potrete fare meglio la vostra scelta salendo con il mezzo sulla collina del castello (parcheggiare al trivio), dai cui resti si apre una vista eccezionale su questo lato della montagna.


Rieccoci sulla strada di Montella. Le pregiate castagne (60.000 quintali l'anno con i paesi adiacenti) sono state le prime in Italia a guadagnarsi il marchio DOC. Oggi partono al 50% per gli Usa e al 25% per l'Europa: la loro qualità è di tale rinomanza - ci dicono - che se tutte quelle messe in commercio come castagne di Montella fossero davvero tali se ne dovrebbe produrre il doppio. Come deve comportarsi il visitatore autunnale? Di regola si possono raccogliere solo le castagne cadute sulla pubblica strada, tuttavia nei primi giorni di novembre una vecchia consuetudine locale consentirebbe - tranne che per i terreni dove le squadre siano ancora all'opera - di entrare nei castagneti a raccogliere i frutti giacenti. E' il periodo in cui si svolge comunque in paese una festosa sagra della castagna alla quale tutti i camperisti sono i benvenuti; tanto che precisa il sindaco - anche se un'area di servizio resta ancora da realizzare; il Comune usa predisporre per l'occasione spazi idonei alla sosta (Municipio tel. 0827 761017). Per periodi diversi possiamo per nostra esperienza suggerire Piazza degli Irpini, quasi al termine della strada che scende dalla montagna. Quanto alla cucina, oltre a latticini e formaggi come burrini e caciocavalli, che sono il vanto della zona, noi abbiamo trovato nell'Antica Trattoria Zia Carmela una vera antologia della gustosa gastronomia locale.

A chi è curioso di conoscere la storia del territorio di Montella, diremo che il paese di oggi deriva dal progressivo riempimento degli spazi tra numerosi casali del passato, dovuto alla discesa a valle degli abitanti del borgo castellano situato su un contrafforte (da cui il nome di Montella) e cinto di mura. L'antico sito può essere la meta di una facile passeggiata per mulattiera, ma è raggiungibile anche in camper per una strada asfaltata poco oltre la periferia ovest di Montella.

Noi vi siamo saliti in compagnia di Carmine Palatucci, eclettico personaggio che è pittore e musico ma anche guida escursionistica e presidente del locale Ecoclub. Nel castello del Monte, di cui restano in piedi le mura e il mastio, una seconda cortina difendeva il fortilizio, mentre fra i due giri di mura si vedono ancora i segni delle abitazioni.Qui il potere continuò ad avere a lungo la propria sede e fu solo alla metà del Quattrocento che i Cavaniglia, feudatari dell'epoca, decisero di scendere essi pure a valle. Un secolo dopo, quando la località era ormai deserta, la piccola chiesa di Santa Maria della Neve venne ricostruita e accanto ad essa sorse un convento, di recente restauro. Al guardiano potrete chiedere di visitare la chiesa, che assunse nel tempo una veste barocca ma dove l'immagine della Madonna della Neve è quella originaria duecentesca.


Di altre due puntate esplorative, con il camper, la prima ci porta al piccolo santuario del Salvatore, paesisticamente assai singolare per la posizione al vertice di un cono boscoso che tocca i 1.000 metri. Per i montellesi che vi salgono per una mulattiera in gita o in processione, uno strappo alla fune della campana è rituale. Ma non conviene accettare sfide, occorrono quattro persone che conoscano per di più il segreto del giusto ritmo per ottenere il grave rintocco di quel bronzo da 20 quintali. Per un camper, il piazzale è un arioso punto di sosta. Accanto al corso del Calore, si visita invece il monumentale santuario di San Francesco a Folloni, complesso tuttora in funzione che fu base per i restauri delle opere d'arte danneggiate nel terremoto irpino dell'80 e che parte di esse espone nell'annesso museo. La chiesa possiede leggiadri stucchi di un artista napoletano del Settecento e due piccoli chiostri della stessa epoca. Il cenobio, che si dice fondato nel 1222 dal santo stesso, conserva la memoria di un gentile miracolo di Francesco, allorché i monaci isolati e affamati per una forte nevicata sentirono bussare alla porta senza trovarvi vi andanti né tracce, solo un sacco di pane ancor caldo di forno. Tornando a Montella, ha destato la nostra curiosità una villa con parco del primo Novecento piuttosto lontana dalle forme consuete in questi paesi. Una piccola indagine ce ne ha fatto conoscere la storia. Tra i tanti che dall'Irpinia s'imbarcarono per l'America armati solo di una valigia di speranze ci fu Celestino De Marco che, fermatosi a New York, trovò lavorò come spalatore di neve. Capacità e buona volontà ebbero la meglio e l'uomo giunse addirittura a ottenere un fruttuoso appalto di spalatura che - è il caso di dirlo - lo fece ricco a palate. Sposata un'irlandese altrettanto benestante, decise di tornare a Montella dove per costruire la villa non lesinò sull'opera di progettisti e lavoranti fatti venire anche dall'estero. Più tardi la coppia ritornò in America e la villa rimase in eredità agli anziani del paese.


Al di sopra dei boschi tra Montella e il passo di Croci d'Acerno, il singolare profilo dell'Accelica con la sua zanna di roccia esercita un'attrazione eccezionale. L'ambiente di questa montagna alta 1.660 metri è tra i più selvaggi dell'Appennino meridionale e in mancanza di un'esperta guida l'escursione (da 4 a 5 ore la sola andata) può presentare rischi effettivi. Altri percorsi conducono a siti incontaminati dove la vegetazione dà spettacolo, cascate e cascatelle, aspre forre, un remoto profondo vallone dove la neve rimane per l'intero arco dell'anno. E' tutto un ambiente di cui il nostro Palatucci è un innamorato pieno di slanci e fantasia, ancor prima di esserne l'ottimo conoscitore al quale non esitiamo a rimandarvi (tel. 347 8605435).


Nel dirigere ora verso Bagnoli Irpino, occorre usare cautela appena fuori Montella (mancano segnalazioni d'avviso) per i platani sporgenti lungo lo stretto rettifilo. E arrivati a destinazione il suggerimento è di portarsi sotto l'antico torrione, in modo da fruite di un parcheggio in tranquilla posizione con un bel panorama sulla valle del Calore. L'imponente parallelepipedo fu costruito dai Cavaniglia (li abbiamo già conosciuti a Montella) che per 150 anni amministrarono saggiamente il feudo. Il torrione, nel quale risiedeva a volte anche il feudatario, era altrimenti una specie di caserma o sede di guarnigione. Per il vostro giro a Bagnoli siete a pochi passi dal centro storico, di cui fanno parte i vicoli di una Giudecca del Quattrocento.

A breve distanza la chiesa dell'Assunta, amabile documento di un garbato barocco napoletano. Per essa si fa il nome del Vaccaro, già ricordato per la badia di Loreto a Mercogliano. Ma nel piccolo duomo si nasconde un tesoro, un coro intagliato di squisita bellezza che narra vicende delle Scritture con scene ad altorilievo piene di movimento, senza enfasi eppure intrise di partecipazione; realistiche da rasentare quasi l'espressionismo nella resurrezione di Lazzaro, dove uno dei presenti al miracolo sta volgendo il viso da un'altra parte con il naso tappato. Insomma c'è la mano di un maestro, del quale poche scarne notizie si trovano in un libro dei conti della chiesa e nel catalogo dei morti di peste: Giacomo Bonavita, questo il nome, fu portato via dall'epidemia del 1656 insieme a suoi collaboratori bagnolesi. Dell'opera, per nostra fortuna, restava solo da completare qualche piccola parte che rimase incompiuta. In Bagnoli, infine, se non è previsto consiglio comunale, potrete chiedere di vedere le numerose apprezzabili tele di due artisti locali dell'Ottocento, Lenzi e Martelli, esposte nella sala delle riunioni che fa anche da pinacoteca.


Lasciata la città, dirigiamo verso il colle Molella, dove la vista si apre sul piano Laceno e la strada gli gira tutt'intorno dando accesso verso destra ad alcuni alberghi e ristoranti e a una modesta aggregazione di villini, promossa nei lontani anni '50 dal Comune di Bagnoli. Oggi sarebbe meglio se non ci fossero, ma allora si cercava di avviare in qualche modo un esordio di turismo tanto che i lotti di terreno furono ceduti a prezzi simbolici. Dietro il sipario del bosco - e quindi con limitato impatto paesistico - sorsero più tardi impianti con varie opportunità sportive, mezzi di risalita, piste di discesa, che fanno del Laceno una stazione di soggiorno invernale ed estivo.

L'insediamento rimane comunque circoscritto e poco vistoso in rapporto all'estensione dell'area. Frequentabile solo da esperti, la grotta di Caliendo costituisce l'emissario carsico del piccolo lago rifornito un tempo da una sorgente che vicende tettoniche di una ventina d'anni fa hanno fatto scomparire. Esplorata per 3 chilometri e mezzo, il sistema mostra un ricco apparato di concrezioni ma presenta varie difticoltà di percorso. Ingresso chiuso da un cancello e informazioni presso il gruppo speleologico di Bagnoli.

Il punto di sosta più adatto a un camper è nella zona degli impianti, dove si trovano anche fontanella, ristorante e tavola calda. Certo, i più pigri potranno usare la seggiovia in funzione tutto l'anno per "esplorare" a differenti quote la cucina paesana dei rifugi Settevalli e Amatucci e ammirare dalla cima un ampio panorama. Altrimenti, con il camper oppure in bici, ci si può inoltrare per decine e decine di chilometri lungo le strade di montagna, generalmente deserte specie in autunno, che dal Laceno dirigono verso Lioni e Acerno. Ci siamo imbattuti in tratti nei quali vortici capricciosi avevano accumulato come fosse neve quasi un metro di foglie secche! I terreni sono quelli in cui i bagnolesi vanno a cavare tartufi neri. Ne donarono un esemplare di oltre un chilo a Vittorio Emanuele III che compensò il ritrovatore con un orologio d'oro e una spilla con stemma sabaudo.


Ma il miglior modo di godere i superbi boschi è nella serie di sentieri marcati che percorrono ilcomprensorio. La strada di Acerno resta un buon asse di riferimento per alcune di queste escursioni. Rasentati alcuni incantevoli pianori prativi, si giunge dopo forse tre chilometri al passetto del Leone (1.200 m), un nodo dal quale si dipartono due percorsi a destra e poco appresso uno sulla sinistra. Lo sterrato in discesa sulla destra porta in quasi 2 ore e 200 metri più in basso alla profonda e incontaminata fiumara di Tannera, passando per la fontana di Dongiovanni. Una variante permette di raggiungere la grotta di Strozzatrippa, dal nome di un brigante dell'800 che ne aveva fatto la propria base.

Il secondo percorso (carrareccia in salita sulla destra) è piuttosto lungo, presenta bei tratti panoramici e si presta ad essere compiuto anche in mountain bike. A piedi si impiegano circa tre ore per sbucare al colle della Molella, dove transita la rotabile proveniente da Bagnoli. Verso metà percorso un sentiero sulla destra permette, volendo abbreviare, di l'accordarsi con le piste da sci del Raiamagra e di scendere quindi al piazzale degli impianti. Sempre dal Passo del Leone la seconda pista sterrata sulla sinistra (con sbarra) sale invece al Cervialto, un nome forse dovuto ai cervi che fino all'Ottocento avrebbero popolato la zona. Per salire ai 1.809 metri della maggior cima del gruppo occorrono circa 3 ore. L'ultima mezz'ora, lasciata la pista, si svolge in salita libera abbastanza erta. Alla fine anche i faggi, di cui abbiamo potuto ammirare esemplari alti fino a cinquanta metri, devono arrendersi. Dalla cima pelata, assistendo l'atmosfera limpida dell'autunno, una spettacolosa veduta circolare invita quasi a un tuffo nel Tirreno.

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