Diritto alla Storia, La questione cimiteriale

Diritto alla Storia - Capitolo 30

Bruciata nell’effimera briezza della durata di una folata di vento l’esperienza settaria che aveva coinvolto la gente comune come in un gioco eccitante di cui non aveva però colto pienamente il senso e le regole, si tornò a riflettere sui problemi insoluti del paese che si erano incancreniti più per indisponibilità finanziaria che per distrazione o insensibilità degli amministratori. Paterno rischiava ormai l’isolamento per l’impraticabilità dell’unica strada che per un verso la collegava al capoluogo di provincia e per l’altro alla sottintendenza di Sant’Angelo dei Lombardi, mentre all’interno del centro abitato necessitavano di restauri non solo le strade, le pubbliche fontane, la chiesa, il cimitero, ma anche le civili abitazioni che nelle zone periferiche si presentavano come un disordinato groviglio di baracche malsane.

L’ultima significativa opera pubblica era stata realizzata cinque anni addietro quando, A 18 Maggio 1820: Essendosi accomodata la grada della Piazza per Ordine del Capitano Cavaliere D. Guglielmo de Iorio, si è tolta la Croce di Pietra che stava dirimpetto alla Chiesa Madre e si è situata innanzi alla Casa del Sign. D. Giovanni de Antonellis1.

La sistemazione della gradinata aveva interessato la sommità del primo vicolo Sottochiesa, all’uopo ripulita dei resti del ponte ormai pressoché ridotto ad un cumulo di detriti, ed aveva comportato un ulteriore abbassamento del livello del piazzale anticamente detto Seggio. Nella circostanza la vetusta croce di pietra era stata rimossa e collocata in quello che sarà detto il Larghetto alla Piazza, all’imbocco dell’odierno viale del Santuario, nel luogo in cui oggi è situata la fontana a zampillo.

In attesa di reperire i fondi necessari per la costruzione del nuovo cimitero, il 14 ottobre 1825 il decurionato di Paterno deliberò il riattamento dell’antico ossario, essendo i ridetti accomodi per rinchiudere le ossa di coloro che chiusero gli occhi al sonno eterno, senza pericolo che sieno rose da cani, come suol facilmente accadere, essendo il menzionato cimitero collabente, ed aperto da tutti i lati. Delle riparazioni più urgenti si fece carico la cittadinanza, che non si sottrasse all’appello per una pubblica sottoscrizione2, nonostante fossero peggiorate le condizioni economiche per la scarsità dei raccolti. Infatti, A 12 Maggio 1825: Giorno dell’Ascensione del Nostro Signor Gesù Cristo, circa l’ore venti (le tre pomeridiane), per ammonirci il Signore della nostra ingratitudine, vi fù una pessima gragniuola (grandinata), che devastò la metà delle nostre campagne ed il dì seguente minacciò l’istesso; ma alle tante nostre indegne preghiere, coll’esposizione del Santissimo Sacramento nella Chiesa Madre di San Nicola, si compiacque per sua misericordia liberarci dal secondo gastigo3.

Questo comune impegno civile, che stava a testimoniare l’aspirazione sincera ad un rapido ritorno alla normalità, non fu tuttavia sufficiente a tranquillizzare gli organi di polizia, consapevoli della potenziale turbolenza del paese soggetto all’influenza di personaggi notoriamente sovversivi, quali Giuseppe de Jorio, suo figlio Filippo e Carmine Modestino. Prudentemente era mantenuta in Paterno una stazione di gendarmeria che comprendeva fidati elementi napoletani, e addirittura siciliani, stabilmente residenti sul posto, alcuni finanche con le rispettive famiglie. Ne è la riprova la nascita di uno dei figli dell’ufficiale ad essa preposto, qui battezzato il 19 marzo 1826: Ego Paschalis Marriello Vicarius Curatus Maiorj Ecclesie sub tit.o S. Nicolai T.re Paterni baptizavi infantum hora octava natum ex legitimis conjugibus D. Cajetano Larocca civitatis Neapolis residente in hac t.ra Paterni, ut capite militis et D. Antonia Procaccini T.re Belvedere Status Romani, cui impositum fuit nomen Nicolaus Pascalis. Patrinus D. Joseph de Iorio cum mandato procurationis, quam dedit D. Salvator Manno province Sicule hic moranti, ut militi, qui levavit e Sacro fonte, cum Nicolina Giusio obstetrice4.

Io Pasquale Marriello, Vicario Curato della Maggiore Chiesa sotto il titolo di San Nicola della terra di Paterno, battezzai un fanciullo nato alle ore otto dai legittimi coniugi don Gaetano Larocca della città di Napoli, residente in questa terra di Paterno come capo della milizia, e donna Antonia Procaccini della terra di Belvedere dello stato romano, a cui fu imposto il nome di Nicola Pasquale. Padrino don Giuseppe de Jorio con mandato di procura che consegnò don Salvatore Manno, della provincia di Sicilia, qui dimorante come milite, che sollevò al Sacro fonte insieme con l’ostetrica Nicolina Giusio.

In nessun modo la riparazione dell’ossario, peraltro condotta in maniera approssimativa, poteva costituire la soluzione al problema cimiteriale, permanendo l’insufficienza dell’area sepolcrale, aggravata da una mortalità media che si approssimava ormai alle cento unità annue. Urgeva realizzare il nuovo cimitero, secondo il progetto redatto dall’ingegnere Giovanni Cantilena, e a tal fine fu costituito un comitato per la raccolta dei fondi necessari.

Il problema era talmente grave che non si trascurava alcuna opportunità per reperire spazi utili alle tumulazioni. A 26 Maggio 1829: Si è finito di accomodare l’Altare del SS.mo Rosario della Chiesa Maggiore di Santo Nicolò di Bari nel nostro comune. D.o Altare è stato scomposto da Mastro Nicola Volpe, e da Mastro Domenico Volpe di Paterno, li quali ci hanno faticato per sette giorni, perché ci hanno fatto sotto detto Altare una lamia (soffitto a volta) con l’intenzione di farci una terra santa (un luogo di sepoltura) per ordine della Publica Beneficenza (Ente Assistenziale) composta dal Sindaco D. Luigi di Amato, Membri D. Angelo Rocca, e D. Guglielmo Marra Sacerd.e e Sacerd.e D. Luigi Sandoli Invigilatore della Cappella.

A 5 Luglio 1829: Giorno di Domenica, dal Arcip.e D. Pasquale Marriello di Paterno, con licenza del Vescovo di Avellino D. Domenico Ciaverria, si è benedetto l’Altare del SS.mo Rosario dentro la Chiesa Madre di S. Nicolò del Nostro Comune di Paterno, e si è celebrato dall’istesso Arcip.e sull’istesso Altare una solenne Messa cantata1.

La ricerca di soluzioni tampone conteneva l’implicito riconoscimento dell’impossibilità di risolvere il problema cimiteriale alla radice, stante l’onerosità dei costi; ed anche per lenire il senso di frustrazione che ne derivava ci si impegnò nel completamento di un’altra opera che pure stava a cuore al clero ed ai devoti di Maria Santissima della Consolazione. Era questa la Scala Santa, da culminarsi con un altare al coperto, per la cui realizzazione era prevista la trasformazione di una casa prospiciente l’ingresso secondario della chiesa maggiore, a tal fine acquisita in permuta di altra abitazione.

Il nuovo Procuratore della cappella della Vergine della Consolazione, il sacerdote Don Felice de Rienzo, aderendo alle pressioni dei fedeli, ne raccolse le offerte e portò a compimento il lavoro2. Ne ricorda l’impegno l’iscrizione incisa su di una lapide posta alla parete sinistra del tempietto: FELIX DE RIENZI \ CAIETANI \ FILIUS \ RCA DEUM EIUSQUE MATREM \ MAXIME PIUS \ HAS AEDES VIX INCOEPIT \ AERE PROPRIO PARTIMOVE \ COMPIEVIT \ PICTURISONE ORNAVIT.

Felice de Rienzo, figlio di Gaetano, profondamente devoto a Dio ed alla Sua Madre, iniziò ora questo luogo di culto su superficie a ciò destinato, l’arredò parzialmente, l’adornò con pitture.

La Scala Santa fu inaugurata, con solenne cerimonia, il 26 aprile 1829. Così, nel libro di memorie di Casa Famiglietti, ci si riferisce all’evento, mettendone in rilievo esclusivamente l’aspetto cultuale: Nel dì 26 Aprile 1829. E’ stata benedetta la Scala Santa dal Sign. Arciprete D. Pasquale Marriello, situata dirimpetto alla Porta piccola della Nostra Chiesa, col concorso di tutto il Re.ndo Clero, e li fratelli delle Nostre Congrecazioni. Per Ordine del Nostro Vescovo di Avellino D. Domenico Ciaverria, concessa a questo Comune di Paterno dal Pontefice Pio VII e confermata dal Pontefice Leone XII, chiunque visiterà in qualunque giorno detto santo luogo, e dirà per ogni gradino un Pater Noster, un Ave Maria, ed un Gloria Pater ed un Salve Regina alla Vergine Addolorata almeno, con animo contento pregando secondo l’intenzione del Sommo Pontefice, guadagnerà cento giorni d’indulgenza, ed in quattro giorni dell’anno confessato, e comunicato, pregando dello stesso modo, guadagnerà Indulgenza Plenaria. Li giorni stabiliti dal Nostro Vescovo per petizione del Nostro Signore Arciprete sono il dì sedici Aprile di ogni anno in memoria del Miracolo che si degnò di fare la Nostra SS.ma Madre Maria di Consolazione nell’Anno 1751; il secondo giorno stabilito si è il dì Nove Maggio, giorno della Festività del Nostro Protettore Santo Nicolò di Bari; il terzo giorno stabilito si è il Nome della Nostra SS.ma Madre Maria che accade l’ottavo della Nascita della detta Nostra SS.ma Madre Maria, nel mese di Settembre di ogni anno; ed il quarto giorno stabilito per detta Indulgenza Plenaria, si è il giorno Sei Decembre di ogni anno, giorno della morte del detto Nostro Protettore Santo Nicolò di Bari. Sia a notizia de Posteri p. futura memoria1.

Dal canto suo l’amministrazione comunale, ora guidata dal sindaco Camillo de Martino, pur nei ridotti margini di manovra consentiti dai magri bilanci, si adoperava per porre rimedio almeno a quei guasti prodotti dalla lunga incuria che potevano riflettersi negativamente sulla salute della comunità. Nel 1830 fu sottoposto alle autorità provinciali un progetto per la sistemazione della pubblica fontana dell’Acquara, la cui decrepita struttura rischiava di rovinare e compromettere la stessa sorgente, con la conseguente riduzione della già esigua disponibilità idrica2.

In quell’anno, morto Francesco I, salì al trono delle Due Sicilie il figlio Ferdinando II. Il nuovo re, conscio che il gravame fiscale opprimeva l’economia e si prestava alla strumentalizzazione per la mobilitazione delle masse contro il regime, abolì la tanto contestata tassa sul macinato. A Paterno il provvedimento fu accolto con favore, anche se avevano radici locali le ragioni preponderanti che ostacolavano lo sviluppo. In anacronistici individui, inseriti nei gangli della pubblica amministrazione, sopravvivevano inveterate abitudini. Elemento emblematico di tale vecchia e cupida mentalità era il cancelliere comunale Pasquale de Rienzo, personaggio gretto, disattento ai doveri d’ufficio, preoccupato esclusivamente del proprio personale tornaconto. Pretendeva costui, laddove era prescritto che i matrimoni fossero legalizzati in municipio, che l’atto fosse redatto presso l’abitazione di uno degli sposi, nel qual caso, per le sue funzioni, gli era dovuta l’indennità di vacazione, cioè il compenso per la trasferta. Parimenti nelle cause da discutere, senza addurre il benché minimo pretesto, disertava le udienze se ciò tornava utile ai suoi fini. Esasperato per tale comportamento, il 24 gennaio 1832, il conciliatore così si espresse in un rapporto indirizzato al sottintendente: Per le sciocche, capotiche e venali procedure di questo Cancelliere Comunale D. Pasquale di Rienzo mi veggo inabilitato a tirare innanzi le funzioni della carica affidatami di Conciliatore3.

Un altro losco personaggio perseguiva da sempre i propri torbidi interessi in danno della comunità. Era questi il sacrestano della chiesa maggiore, quel Pasquale Natale già reo, nel lontano 1802, di aver profanato la tomba di Ciro Mattia.

A 13 Marzo 1830: Giorno di Venerdì. La mattina, essendo venuta una Signora di Lapio per una causa nella Giustizia di Pace (al cospetto del conciliatore), ed indi portatasi in Chiesa per sua divozione per far dire una litania alla Nostra Protettrice Maria SS.ma Incoronata sotto il titolo di Consolazione, nell’aprire il pannetto caddero alcuni pezzi di cristallo, ed avendo in seguito il Nostro Sacrestano Pasquale del fù Giuseppe di Natale osservato tale accidente, si accorse che era stata spogliata la SS.ma Vergine di due sue corone (rosari), ed altre gioje, che avea, restò mezzo morto (sconvolto), e così appuratosi (scoperto) tale funesto accidente a poco a poco si tumultò buona parte del Paese; ma subito per mezzo del suo Procuratore D. Felice di Rienzo si è fatta una lauta, e generale limosina (colletta) per di nuovo fare delle corone1.

Lo sconcerto del sacrestano però non convinse nessuno. Era infatti noto a tutti che l’autore dei furti che da anni si ripetevano in chiesa fosse lui stesso, ed in quello stesso giorno, 13 marzo 1830, la Commissione di Beneficenza di Paterno, di cui, fra gli altri, facevano parte l’ex sindaco don Luigi di Amato ed il segretario don Nicola D’Antonellis, sollecitò l’intervento della giustizia ordinaria, fornendo un sommario elenco degli oggetti trafugati negli anni ed indicandone il ricettatore in un orefice amico del Natale, di nome Giuseppe, dimorante in Bagnoli ma nativo di Montella.

L’esposto-denuncia ricordava come due anni addietro il sacrestano fosse stato accusato del furto di due cornucopie di ottone e gli fosse stato imposto di risarcire il danno. Proseguiva, quindi, rammentando la sparizione di due dei quindici grani d’oro che avevano costituito il rosario deposto in una delle mani della statua di Maria Santissima del Rosario; l’asportazione di borchie e di anelli di catena delle lampade pendule di argento che ornavano la chiesa; la scomparsa di un brillante dalla mitra della statua di San Nicola; il trafugamento di anelli dalle dita delle mani delle statue dei Santi; la metodica sottrazione di ex voto in oro, argento e panno dalla cappella di Maria Santissima della Consolazione; l’asportazione di quattro piccoli candelabri di ottone dagli altari del Rosario e della Consolazione, poi impudentemente venduti in Benevento alla presenza del figlio di Giuseppe Balestra; la serie infinita di indebite appropriazioni perpetrate negli anni che avevano comportato la perdita di due lampade di ottone, di ceri, di tovaglie, di arredi sacri in genere, di cui non era possibile fornire un dettagliato inventario.

Concludeva, il documento, evidenziando come il sacrestano associasse alla disonestà un’indole malvagia tale da suscitare odi sì profondi che lo avevano reso vittima una prima volta di un colpo di fucile sparatogli contro la faccia, ed una seconda di una serie di ferite infertegli con la baionetta2.

All’iniziativa del reverendo Don Felice di Rienzo la popolazione aderì con prontezza e generosità. La sottoscrizione superò in breve ogni più ottimistica aspettativa, sicché, A 31 Maggio, Giorno di Pasqua di pentecoste, dall’Arciprete D. Pasquale Marriello, e dal R.ndo D. Giovanni barbiero Arciprete del Luogosano, coll’assistenza di tutto il Clero, gentili uomini, e Popolo dell’Università, e Sindaco D. Nicola Famiglietti, il quale andò col Capo Urbano D. Luigi di Amato a prendere assieme colla Civica (polizia urbana), e musica con sparo, le due corone, collana d’oro, e dodici stelle di oro, e furono con la massima consolazione di tutti situate nella immagine della Nostra Protettrice Maria SS.ma della Consolazione; si cantò indi l’inno della Magnificat ed in ultimo la Messa cantata, e prima di ciò fù posta una pietra di marmo a mano sinistra nella colonna dove come si vede fù descritto il furto succeduto; il Signore dia lume a noi, e pace alla nostra popolazione per li meriti della Nostra Regina di tutto il Mondo, così sia. Sia lodato Gesù, Giuseppe e Maria3.

Tuttavia, né la mobilitazione di fede, né le accuse circostanziate formulate dalla Commissione di Beneficenza servirono a fermare a lungo la mano sacrilega. A 3 Feb.o 1831, di giorno giovedì, si è trovata di nuovo spogliata di tutte le corone, ed arredi Sacri, la Santissima Immagine di Maria SS.ma di Consolazione, avendo rimasto il solo umbrelino (ombrellino) d’argento colla massima tristezza di tutta la Nostra Popolazione; il Signore dia lume al reo, affinché possa convertirsi; ed abbia misericordia di noi peccatori, che non siamo degni di ossequiarla, per averla due volte sceleratamente spogliata1.

Questa volta si giudicò inopportuno appellarsi ai cittadini per rimediare all’offesa e al danno, né le condizioni economiche del paese avrebbero consentito un ulteriore sacrificio. Così, A 20 Mag.o 1831, giorno di Venerdì, non potendosi più vedere dal Popolo fedele di Paterno l’immagine della SS.ma Vergine spogliata per la seconda volta di tutti gli ornamenti di oro, e non potendo le forze delli poveri Cittadini adornarla di nuovo con le corone di oro, collane, ed altro, provisoriamente stimò adornarla con corone indorate sopra il rame2.

Turbava le coscienze dei fedeli l’espediente a cui, solo per le miserevoli condizioni economiche dal paese, si era stati costretti a far ricorso; ma già A 8 Luglio, giorno di Domenica dell’anno 1832, per voti fatti da D. Chiarina Antonellis Moglie di Giuseppe Sandoli della Rocca, avendo ella ricevuto la grazia della Vergine per la salute di suo marito, le portava colle sue mani, a piedi scalzi le tre corone alla Vergine, ed una ancora al Bambino d’oro, con un laccio lungo anche d’oro; e D. Nicola Pasq.e de Renzij fù Filippo ha donato tredici stelle di oro, e D. Filippo de Iorio funzionante da Sindaco ha regalato alla Vergine una catena d’oro, e con tutta allegrezza di questo pubblico, con solenne festa, dalli Arcip.e D. Pasquale Marriello, e dal R.do Clero si è guarnita meglio di prima la Santa Immagine della Nostra Salvatrice Maria SS.ma di Consolazione, la quale intercederà per noi peccatori, sia a lode del Signore3.

Se diffuse erano la corruzione e la disonestà, non mancava tuttavia chi esercitasse il mandato ricevuto non in funzione della propria convenienza, bensì come asservimento al superiore interesse della collettività di cui si sentiva espressione. Così era stato per Nicola Famiglietti, per un decennio deputato alla pubblica amministrazione. Quando, il 4 gennaio 1832, l’Intendente di Principato Ultra, esaminate le terne degli eletti ed accertatane la eleggibilità sotto il profilo morale, aveva emanato i provvedimenti di nomina per il triennio 1832-35 a favore di Filippo de Iorio per la carica di sindaco, di Pasquale Modestino per quella di Primo Eletto e di Nicola Famiglietti per quella di Secondo Eletto, quest’ultimo, sessantacinquenne ed in precarie condizioni di salute, riconoscendosi nell’impossibilità di assolvere il proprio compito con la dedizione che gli era congeniale, chiese di essere esonerato dall’incarico, ponendo in risalto come fossero circa dieci anni dacché il cessato Sindaco D. Nicola Famiglietti del Comune di Paterno senza veruna interruzione ha, prima da secondo Eletto, e poi da Sindaco, servito la Maestà del Ré (D.G.) e procurato per quanto l’è stato possibile il bene della sua comune, senz’addurne mai lagnanza, e senza interpellare a suo favore la legge, che dappiù tempo avrebbe esonerato la sua età da simili uffici4.

Fu questo un raro esempio di responsabilità e di modestia, ma non l’unico. Altri cittadini di Paterno, in Napoli, su più vasta scala, conducevano battaglie di impegno civile e democratico. Erano Filippo de Jorio, membro della “Società economica”, che pubblicava i suoi scritti antigovernativi sul “Giornale economico” diretto dal Cassitto; l’avvocato Carmine Modestino, autore di saggi a sfondo velatamente politico, sia in prosa che in poesia5; il medico Salvatore de Renzis, professore universitario, già coinvolto nei moti del 18206.

Per le sospette attività di questi suoi figli, Paterno era ritenuto dalle autorità di polizia un paese ad alto indice di pericolosità, il che consigliò di ridurne l’influenza mandamentale distaccandone, nel 1832, il comune di Lapio1. Le autorità locali, alle prese coi gravi problemi interni, rinunciarono ad una convinta opposizione, limitando il dissenso ad una serie di formali proteste.

Il 1° settembre 1832 il decurionato, presenti Giovanni Strafezza, Francesco Morsa, Camillo Martini, Pasquale de Renzis, Felice de Rienzo, Salvatore Pilosi e Luigi Amato, sotto la presidenza del sindaco Filippo de Jorio, riconosciuta la necessità e l’urgenza di porre rimedio ai guasti inflitti dal tempo alla chiesa di San Nicola, incaricò i mastri muratori Domenico Volpe, Giovanni Barbiero e Pasquale Forte di indicare le priorità degli interventi da eseguire e di farne un preventivo di spesa. Il responso fu di immediata riparazione della copertura, tanto del campanile che della chiesa, per un costo complessivo, per soli embrici e tegole, di 45,20 ducati2.

Erano stati nel frattempo raccolti circa duecento ducati per la costruzione del nuovo cimitero presso la chiesa di Santa Maria di Costantinopoli, e nel 1833 si dette inizio ai lavori. La somma però si rivelò insufficiente, sicché l’ampio edificio, con ingressi a volta, rimase incompiuto. Inutilmente, l’11 giugno 1835, il decurionato sollecitò un finanziamento per l’ultimazione dell’opera, evidenziando: Detto comune non ha cimitero. Una vecchia diruta fabbrica senza tetto, e senza porta, contiene le ossa de’ nostri antenati, esposte così a tutte le intemperie del Cielo, e finanche alla voracità de’ cani3. Tuttavia, grazie alla magnanimità di alcuni cittadini, fu in seguito possibile rendere ricettivi i due ambienti sotterranei ricavati all’interno delle mura dell’incompiuto cimitero ed in essi dare un riparo alle ossa.

Nel 1836 si manifestò a Napoli ed in altre parti del regno un’epidemia di colera di particolare virulenza. Nella capitale il medico di Paterno Carmine Modestino si impegnò con professionalità ed abnegazione nella lotta contro il male, riportandone unanimi lusinghieri apprezzamenti4.

A Paterno l’epidemia si diffuse nel 1837. Fino ad allora la crescita demografica s’era mantenuta costante: erano state 111 le nascite nel 1834 e 76 i decessi, ancora 111 nel 1835 e 110 nel successivo 1836 a fronte, rispettivamente, di 77 e 78 morti, ma a partire da quell’anno si verificò un’inversione di tendenza. Il numero dei morti salì a 116 mentre le nascite si ridussero a 93 e, per la persistenza di focolai epidemici, la fase di decremento della popolazione, seppure in maniera discontinua, si protrasse negli anni a seguire5.

Una ulteriore penalizzazione doveva subire Paterno, che in quell’anno fece registrare 2.548 abitanti6. Ritenuto tuttora centro di incubazione di idee rivoluzionarie, con decreto reale del 17 giugno 1838 fu privato del comune di Taurasi che fu annesso a Mirabella7. Il suo mandamento fu così ridotto a soli 10.984 abitanti, di cui 3.027 in Castelfranci, 1.201 in Luogosano, 1.997 in San Mango e 2.211 in Sant’Angelo all’Esca8.

Il 17 novembre 1838, con circolare numero 259 diretta ai sindaci, l’Intendente di Principato Ultra richiamò il decreto dell’11 marzo 1817 per ribadire l’obbligo delle sepolture lontano dai centri abitati, onde ridurre i rischi di contagio che l’epidemia di colera, non completamente debellata, rendeva tuttora possibili. In esecuzione di tali disposizioni, il collegio decurionale di Paterno, nella seduta dell’8 dicembre 1838, riscontrò i prescritti requisiti in un appezzamento di terreno in località Piano, di proprietà di Francesco Sandoli di Giuseppe, a fronte della strada che attraverso contrada Sala conduceva a Fontanarosa. Di conseguenza deliberò che il Decurionale medesimo è stato d’avviso prescegliersi per uso di Campo Santo il locale posto dietro la Cappella di Santa Maria delle Grazie, avendo tutte le qualità richieste dalla precitata legge1.

Il 10 dicembre 1838, all’età di 54 anni, morì Rosa Petruzzo e le sue spoglie, per prime, ebbero sepoltura in terra agri sancti, cioè nel terreno solo due giorni avanti designato dal consiglio comunale2. Il 18 successivo l’Intendente di Principato Ultra fece pervenire il proprio benestare alla costruzione del cimitero in quella località, e dispose che questo detto rimane destinato pel provvisorio seppellimento de’ cadaveri, nel quale vi è già inumato il primo trapassato3.

All’esproprio fece opposizione il proprietario del fondo, Francesco Sandoli di Giuseppe, sostenendo che il luogo era inadatto in quanto compreso fra due strade intensamente trafficate, quella per Fontanarosa e l’altra che, sfiorando il territorio della Pescara, discendeva al Fredane fra Terroni e Felette.

Contestò la scelta del decurionato anche il clero, riproponendo, in data 28 dicembre 1838, la candidatura dell’area in prossimità della chiesa di Santa Maria di Costantinopoli, ivi trovandosi elevate a buona altezza le mura di una spaziosa Terra Santa designata in guisa da potervi in essa interrare i cadaveri senza pericolo d’infezione d’aria, poiché nel suo ambito molte grandi e sotterranee lamie vi sono a bella posta delineate, ed in parte costruite, onde possa eseguirsi l’inumacione (inumazione) degli estinti senzacché l’atmosfera potesse sentirne l’esalazione al putore. Questo fabbricato è sito in una spaziosa pianura, e quasi fuori dell’abitato. E’ stato eretto in un luogo settentrionale, ed in punto dove i venti non possono molto signoreggiare. E’ stato costituito a grandi spese colle oblazioni de’ cittadini possidenti, che concorrerebbero di buon grado a contribuire per vedere menato a termine un edificio incoato con vistoso disegno, quale si conveniva ad un Luogo Sacro, che doveva essere il Sacro deposito de’ trapassati4.

L’11 gennaio 1839 il clero, per sottolineare il proprio dissenso, fece seppellire presso la chiesa di San Nicola il piccolo Felice d’Amato, figlio di Antonio e di Rosalia dej Gentile, morto all’età di otto mesi; ma per la decisa reazione delle autorità comunali, già il giorno successivo, Maria Margarita Iafari, figlia di Salvatore e di una tal Pecce, spirata dopo soli quindici giorni di vita, fu sepolta in loco benedicto, cioè nel terreno in località Piano5.

Allo scopo di rendere definitiva ed inequivocabile la propria decisione, il giorno 26 febbraio 1839, il decurionato di Paterno nominò custode del nuovo cimitero il signor Antonio Pelosi fu Pasquale e conferì l’incarico di becchino a Pasquale Iannuzzo. Solamente agli inizi dell’anno seguente però si commissionò all’ingegnere Aniello Napoletani il progetto dell’opera e questi, il 22 aprile 1840, ne presentò i disegni ed il preventivo di spesa. Secondo i suoi calcoli il solo muro di cinta avrebbe avuto il costo di 1.650 ducati ed altri 620 ne sarebbero occorsi per la costruzione della cappella6.

Nello stesso periodo, a favore della classe contadina e a sostegno dell’agricoltura, per iniziativa del sindaco Giuseppe de Jorio, fu istituito il Montefrumentario del granone sotto il titolo di San Nicodemo, mercé la dotazione di trenta tomoli di mais. Lo scopo dell’istituzione era di fornire a prezzo contenuto, o a titolo gratuito con obbligo di restituzione, i quantitativi necessari alla semina. L’istituto ebbe la sovrana approvazione in data 4 maggio 18407.

Un altro obbligo si imponeva intanto per gli amministratori di Paterno, ed era quello di garantire a tutti l’insegnamento primario, indipendentemente dal sesso e dalle condizioni sociali. In paese aveva sempre funzionato una scuola gestita dal clero, da cui però erano rimaste escluse le ragazze, perciò il problema si poneva solamente per la scuola femminile. Nell’agosto del 1840 si provvide quindi, da parte del consiglio comunale, ad individuare la terna di maestre da segnalare al sottintendente di Sant’Angelo dei Lombardi a cui competeva la scelta ultima.

Contro la procedura seguita dagli amministratori relazionò, il 3 settembre 1840, l’ispettore del circondario Gennaro Vovola: Questo sindaco Giuseppe Iuorio1, che è un vero despota, convocò questo decurionato, che per lo più lo tiene in casa propria, per formare la terna delle candidate, onde potersi scegliere la pubblica maestra; il collegio suddetto nominò in primo luogo Rachele Vovola, e due altre figliole perite nelle arti donnesche, e specialmente nel leggere e scrivere, come maestre private. Una tale nomina essendo dispiaciuta al cennato sindaco perché non caduta nelle persone del suo partito, obbligò quest’imbecille Corpo morale (decurionato) a formare una nuova terna.

La nuova scelta riguardò Maria Teresa Pergamo, Teresa Gambino e Colomba Leone, ma l’ambiguità dei criteri che l’avevano determinata indusse il signor Luigi Vovola a produrre un ricorso datato 20 settembre 1840, col quale segnalava come in tal nomina ogni Decurione ha fatto proposta chi la di lui moglie, chi la sorella, a sol profitto e non già per spirito del bene pubblico.

Ancora il 30 settembre si denunciava al sottintendente di Sant’Angelo dei Lombardi: Emerge che quel decurionato abbia capricciosamente nominato per la scelta della maestra della scuola primaria D. Teresa Pergamo, D. Teresa Gambino, e D. Colomba Leone, tutte tre analfabete, prive delle nozioni arittimetiche, e molto meno atte a spiegare il catechismo di religione voluto dai regolamenti.

Comunque i ricorsi e le proteste non sortirono alcun effetto e, fra le candidate proposte, dal sottintendente fu prescelta Maria Teresa Pergamo che però alla visita ispettiva risultò inidonea. Le furono quindi concessi sei mesi di tempo per adeguare la propria preparazione e, di conseguenza, l’apertura della scuola primaria femminile fu rinviata all’anno successivo2.

Il 1841 fu però un anno funesto per Paterno. Ai persistenti focolai di colera si sovrappose una epidemia di tifo che causò la morte di 93 bambini e 90 adulti i quali, tutti, trovarono agevole sepoltura nella nuova area cimiteriale3. Solo agli infettati da colera era riservata una zona a parte, un terreno incolto, oltre il cimitero, a margine del declivio boscoso, distante dalle vie di transito, pur utilizzando per il trasporto di tutte le salme la stessa unica bara in dotazione della chiesa. I cadaveri venivano infatti tumulati avvolti in un lenzuolo, disposti supini in una lunga fossa, subito ricoperta limitatamente allo spazio da essi impegnato.

Morì in quell’anno Ciriaco Pescatore, marito di Maria Teresa Pergamo. La circostanza fornì nuove argomentazioni ai suoi oppositori che si affrettarono a far rilevare come la donna, rimasta sola e con sei figli da allevare, non disponesse di tempo sufficiente da destinare all’insegnamento.

Agli inizi del 1842 spontaneamente Maria Teresa Pergamo rinunciò all’incarico di maestra primaria e, in aprile, il decurionato approntò la nuova terna comprendente Giuseppa d’Amato, Rachele Vovola e Maddalena Leone. Fu Rachele Vovola la prescelta dal sottintendente, ma alcuni cittadini di Paterno, in un esposto datato 22 maggio 1842, evidenziarono come questa vivesse sotto lo stesso tetto con il fratello Antonio che aveva avuto una figlia da Adelaide Marrone di Fasano, senza aver contratto con essa regolare matrimonio, sottolineando come questa circostanza scandalosa allontanerebbe tutti i padri di famiglia a mandare le fanciulle a quella scuola.

Al fine di rimuovere l’ostacolo, ad Antonio Vovola non rimase che sposare la convivente, regolarizzando in tal modo la propria posizione1.

Iniziarono in località Piano i lavori per delimitare l’area sepolcrale. Sebbene la ridotta disponibilità finanziaria consentisse la sola costruzione del muro lungo il fronte della strada che conduceva a Fontanarosa, al sindaco fu sufficiente per vantare la paternità dell’opera, facendo incidere la lapide che tuttora si trova a lato di quello che era l’unico ingresso: GIUSEPPE DE JORIO \ SCELSE QUESTO LUOGO E COSTRUI’ QUESTE MURA \ PEL RIPOSO DE’ TRAPASSATI \ CON PUBBLICO DANAJO \ NELL’ANNO VI DEL SUO SINDACATO \ 1843.


1 Archivio privato del dott. Nicola Famiglietti di Paternopoli - Libro Di Memorie Della Famiglia Delli Signori Famiglietti Da Paterno - Anno Domini MDCCCXVIII.

2 Archivio di Stato di Avellino - Intendenza di Principato Ultra - Busta 749 - Fasc. 2687.

3 Archivio privato del dott. Nicola Famiglietti di Paternopoli - Libro Di Memorie Della Famiglia Delli Signori Famiglietti Da Paterno - Anno Domini MDCCCXVIII.

4 Archivio della Parrocchia di San Nicola di Paternopoli - Registri dei battezzati.

1 Archivio privato del dott. Nicola Famiglietti di Paternopoli - Libro Di Memorie Della Famiglia Delli Signori Famiglietti Da Paterno - Anno Domini MDCCCXVIII.

2 Luigi Sandoli, sacerdote: Scala Santa eretta in onore di Maria Santissima della Consolazione, in Notizie storiche sulla Miracolosa Effigie di Maria SS. della Consolazione- Edizione a cura del Comitato - Napoli 1967.

1 Archivio privato del dott. Nicola Famiglietti di Paternopoli - Libro Di Memorie Della Famiglia Delli Signori Famiglietti Da Paterno - Anno Domini MDCCCXVIII.

2 Archivio di Stato di Avellino - Prefettura, Inventario 2 - Busta 626 - Fasc. 12339.

3 Archivio di Stato di Avellino - Intendenza di Principato Ultra - Busta 748 - Fasc. 2681.

1 Archivio privato del dott. Nicola Famiglietti di Paternopoli - Libro Di Memorie Della Famiglia Delli Signori Famiglietti Da Paterno - Anno Domini MDCCCXVIII.

2 Un Irpino: Uno scandalo in Irpinia nell’epoca borbonica in Paternopoli (Avellino) - Avellino 1966.

3 Archivio privato del dott. Nicola Famiglietti di Paternopoli - Libro Di Memorie Della Famiglia Delli Signori Famiglietti Da Paterno - Anno Domini MDCCCXVIII.

1 Archivio privato del dott. Nicola Famiglietti di Paternopoli - Libro Di Memorie Della Famiglia Delli Signori Famiglietti Da Paterno - Anno Domini MDCCCXVIII.

2 Archivio privato del dott. Nicola Famiglietti di Paternopoli - Ibidem.

3 Archivio privato del dott. Nicola Famiglietti di Paternopoli - Ibidem.

4 Archivio di Stato di Avellino - Intendenza di Principato Ultra - Busta 748 - Fasc. 2681.

5 Francesco Scandone: I moti politici del 1848, in Samnium - Anno 1949.

6 Biblioteca Provinciale di Avellino - Carlo Aristide Rossi: Provincia di Avellino - Monografia de’ 128 comuni della Provincia - Manoscritto ricopiato nell’anno 1946.

1 Giuseppe de Jorio: Cenni statistici, geografici e storici intorno al comune di Paternopoli - Milano 1869.

2 Archivio di Stato di Avellino - Intendenza di Principato Ultra - Busta 750 - Fasc. 2689.

3 Archivio di Stato di Avellino - Intendenza di Principato Ultra - Busta 749 - Fasc. 2687.

4 Biblioteca Provinciale di Avellino - Carlo Aristide Rossi: Provincia di Avellino - Monografia de’ 128 comuni della Provincia - Manoscritto ricopiato nell’anno 1946.

5 Archivio della Parrocchia di San Nicola di Paternopoli - Registri dei battezzati, Registri dei morti e Registri degli infanti morti.

6 Archivio di Stato di Avellino - Intendenza di Principato Ultra - Busta 751 - Fasc. 2692.

7 Archivio di Stato di Avellino - Prefettura, Inventario 2 - Busta 626 - Fasc. 12335.

8 Gustavo Strafforello: La Patria - Geografia dell’Italia - Torino 1896.

1 Archivio di Stato di Avellino - Intendenza di Principato Ultra - Busta 749 - Fasc. 2687.

2 Archivio della Parrocchia di San Nicola di Paternopoli - Registri dei morti.

3 Archivio di Stato di Avellino - Intendenza di principato Ultra - Busta 749 - Fasc. 2687.

4 Archivio di Stato di Avellino - Intendenza di Principato Ultra - Busta 749 - Fasc. 2687.

5 Archivio della Parrocchia di San Nicola di Paternopoli - Registri degli infanti morti.

6 Archivio di Stato di Avellino - Intendenza di Principato Ultra - Busta 749 - Fasc. 2687.

7 Archivio Municipale di Paternopoli - Registro delle deliberazioni del Consiglio Comunale dall’anno 1884 all’anno 1889.

1 Trattasi di Giuseppe de Jorio.

2 Archivio di Stato di Avellino - Prefettura, Inventario 2 - Busta 625 - Fasc. 12313.

3 Archivio della Parrocchia di San Nicola di Paternopoli - Registri degli infanti morti e Registri dei morti.

1 Archivio di Stato di Avellino - Prefettura, Inventario 2 - Busta 625 - Fasc. 12313.

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