Diritto alla Storia, Primi miracoli di Maria SS. della Consolazione

Diritto alla Storia - Capitolo 23

Oltre ad un numero imprecisato di immigrati, sul finire della prima metà del XVIII secolo Paterno contava 2.400 naturali, cioè abitanti nativi del luogo8 e, con una natalità media di poco superiore alle 90 unità annue9, la sua popolazione era in rapida crescita.

Il centro politico, religioso, culturale, il cuore insomma del paese, era rappresentato dalla Piazza. Qui si tenevano le pubbliche riunioni, o parlamenti, convocate a voce di strada in strada per mezzo del banditore; qui, all’aperto, si celebravano i matrimoni; qui ci si incontrava per discutere di affari o per i normali scambi di opinioni; qui più semplicemente, durante la buona stagione, si oziava fino a notte inoltrata per sottrarsi alla soffocante calura di cui, durante il giorno, si imbevevano le anguste bicocche.

Anche la sede della Corte di Giustizia apriva sulla Piazza, ubicata in locali di proprietà della famiglia Rossi tenuti in fitto dall’università e comprensiva dell’alloggio per il Mastrodatti1 di Mirabella, il quale di regola soggiornava in Paterno quando vi era chiamato a tenere sedute2.

Pure il cimitero gravitava nell’orbita della Piazza, restando tuttora annesso alla chiesa maggiore, lungo la strada a tergo di essa occasionalmente menzionata come via dello Cimitero. Sebbene fosse suddiviso in spazi ripartiti fra le maggiori cappelle, ciascuno destinato a ricevere le spoglie mortali in conformità della volontà espressa dallo stesso defunto o dai di lui familiari, la formula in uso nella registrazione dei decessi genericamente indicava: Animam Deo reddidit, recepit singula et SS.ma Sacramenta, et sepultus est in hac Maiori Ecclesia (rese l’anima a Dio, ricevette i prescritti Sacramenti, ed è sepolto in questa Chiesa Maggiore).

Un’unica eccezione fu fatta per Nicola Giannitti, povero, morto il 20 giugno 1749 all’età di circa 35 anni. Per costui non si fa cenno ai Sacramenti d’uso e lo si dice sepolto nel cimitero di Paterno3. Non essendovi altro luogo destinato alla sepoltura oltre quello presso la chiesa di San Nicola, se ne deduce che la tumulazione avvenne all’esterno del fabbricato cimiteriale, a margine della strada. La laconicità dell’atto non offre giustificazione alcuna, ma si può supporre che Nicola Giannitti si fosse macchiato di delitti tali da precludergli una sepoltura cristiana.

Incoraggiati da re Carlo di Borbone, fermenti culturali pervadevano il regno. Nel 1738 era stata scoperta la città di Ercolano e nel 1748 erano stati individuati i resti della città di Pompei. Il rinnovato interesse per le scienze e per le arti favoriva il diffondersi di centri di studio e di scuole. Anche in Paterno l’apertura di una scuola fondata e diretta dal reverendo Don Antonio Pelosi segnò il superamento delle occasionali e disorganiche iniziative didattiche promosse dal clero.

Questa scuola acquistò ben presto fama di istituto prestigioso, tale da richiamare numerosi studenti della buona borghesia dai paesi limitrofi. La sua rinomanza non tardò a travalicare i confini dell’Irpinia e, nell’anno 1757, Filippo Altieri della città di Benevento venne ad iscrivervi il proprio figlio Pietro che la frequentò per due anni, soggiornando in casa del signor don Pascale di Geronimo4.

Lo studio, per i costi che comportava e per la scarsa considerazione in cui era tenuto dalla massa contadina ed operaia, veniva ad essere prerogativa delle sole classi più abbienti. A favore delle categorie meno agiate si praticava, in età infantile, un’istruzione a livello elementare impartita dal clero unitamente a nozioni catechistiche. Comunque una larga parte della popolazione si mostrava indisponibile a fruire anche di queste prestazioni, pur gratuite. Lo sforzo produttivo in cui era proteso il paese richiedeva l’impiego di tutte le forze valide, ed un ruolo rilevante assumeva il lavoro minorile, oltretutto considerato un efficace strumento di formazione del carattere oltre che di futura professionalità.

In quest’ottica la figura dell’apprendista si poneva come elemento essenziale per il buon funzionamento delle botteghe artigianali, attive dall’alba fino a notte fonda. Il suo indispensabile apporto veniva compensato non soltanto con l’apprendimento delle tecniche di lavorazione, ma anche con retribuzione rapportata al livello di capacità acquisito, per cui venivano stipulati precisi accordi vincolanti per entrambe le parti, ossia mastro e discepolo.

I protocolli notarili del tempo riportano una molteplicità di contratti di apprendistato riferiti alle più svariate attività artigianali. Ad esemplificazione della precisione con cui ne erano definiti i termini, se ne propone uno del 25 gennaio 1750, allorché si convenne che Giuseppe Guerriero habia, e debia fare con esso Amato Passaro ad imparare la sua professione, o sia arte d’indoratore, et altro appartinente a detta arte, per lo spazio di anni quattro continui, prencipiando dal corrente mese di Gennaro et finiendo in detto mese del anno 1754, e dal detto tempo non mancare per qualsiasi causa, o pretesto, eccetto che nel Santo Natale del Signore, e nella Santa Pasqua di Resurrezione, e con licenza di esso Amato, et il trattinimento non sia più di giorni otto, e nel caso di malatia, o carcerazione così dell’uno, come del altro, il tempo si debia scomputare da detti anni quattro. Et versavice detto Amato Passaro promette, e si obliga fra’ detti anni quattro di imparare al detto Giuseppe Guerriero l’arte d’indoratore, e quanto appartiene a detta arte, ma di più darli il vitto, e farli lavare le biancherie, così di mutanne, e del letto, come pure di pagare al detto Giuseppe nel primo anno docati dodici, nel secondo anno docati diecidotto, nel terzo anno docati ventiquattro, e così nel ultimo anno docati ventiquattro, e di dette paghe esso Amato se ne debia sempre ritenere in suo potere docati dieci, sintanto ch’esso Giuseppe haverà compito tutti li suddetti anni quattro a beneficio di detto Amato1.

Giuseppe Guerriero debba frequentare (la bottega) di Amato Passaro e lavorare con lui al fine di apprenderne la professione, ossia l’arte di indoratore, e quanto altro attiene a detta arte, per la durata di anni quattro consecutivi, a partire dal corrente mese di gennaio fino a tutto l’analogo mese dell’anno 1754; e durante il detto periodo (si impegna) a non assentarsi per alcun motivo o pretesto, se non in occasione del Santo Natale e della Santa Pasqua di Resurrezione, comunque previa autorizzazione di Amato Passaro, e sempre che l’assenza dal lavoro non si protragga per più di otto giorni; ed in caso di malattia, o di carcerazione dell’uno o dell’altro, il periodo di assenza deve essere recuperato al fine di completare i quattro anni di effettiva attività. Di contro Amato Passaro promette e si impegna, nell’arco dei quattro anni, ad insegnare a Giuseppe Guerriero l’arte di indoratore e quant’altro è connesso a detta arte, ed inoltre a somministrargli il vitto, a fargli lavare la biancheria, ivi comprese le mutande e le lenzuola del letto, a corrispondergli un compenso di dodici ducati nel primo anno, di diciotto ducati nel secondo, di ventiquattro sia nel terzo che nel quarto anno; comunque da detti compensi Amato Passaro tratterrà ducati dieci, fino a quando l’apprendista Giuseppe Guerriero non avrà completato l’intero periodo di quattro anni di attività a beneficio dello stesso Amato.

Impegnata a risanare le ferite infertele dai terremoti, l’università di Paterno non disdegnava il ricorso a manodopera di importazione. I lavori fervevano ovunque, interessando tanto le civili abitazioni quanto le opere di pubblica utilità.

Nell’anno 1751 mastro Giovanni Pasquino, con un gruppo di suoi operai, era impegnato nella chiesa di San Nicola a realizzare le cornici per i due grandi quadri della crociera e del soffitto della navata centrale, quando venne a verificarsi una serie di prodigi che commosse profondamente il popolo di Paterno e vasta eco suscitò in Irpinia. Ne raccolse le testimonianze dirette il notaio Nicolò Piccarino:

Die vigesima quarta m. maij mill.mo septig.mo quinquag.mo pr.o, in terra Paterni, il Rev. Sig. D. Tomaso Arciprete Mattia, il Rev. Sig. D. Donato Mastrominico, il Rev. D. Tomaso Ricca, il Rev. D. Giulio Mastrominico, il Rev. Sig. D. Carlo et il Rev. Sig. D. Ciriaco Mattia, il Rev. D. Guglielmo Marra, il Rev. D. Crescenzo Beneventano, il Rev. D. Alberto, et il Rev. D. Nicolò di Amato, il Rev. D. Paulo Cubelli, il Rev. D. Angelo Conte, il Rev. D. Antonio Pilosi, il Rev. D. Bonaventura Piccarini, il Rev. D. Pasquale Rosanio, il Rev. D. Domenico Mele, il Rev. D. Tomaso Petruzziello, il suddiacono D. Gio: Rosanio Sacristano, et il novizio Pascale Marriello, nec non gli attuali magnifici Amministratori di questa Università Sig. D. Giuseppe Antonio Rossi, Pietro di Amato, et Antonio Brida, Sindaco ed Eletti al buon governo dell’Università suddetta, e con essi il Dr. Sig. D. Marcello Famiglietti; altra Gente, D. Felippo Campanile della città di Altamura, al presente Governatore della suddetta terra, Dr. Sig. D. Gaetano Stefanelli, il Dr. Sig. D. Felippo de Martino Musacchi, Dr. Sig. D. Nicolò de Antonelli, Dr. Sig. Ciriaco Mastrominico, Dr. Sig. Giuseppe de Mattia, Professor delle leggi D. Pascale di Geronimo, Professor delle leggi Sig. Francesco de Antonelli, magnifico Michele de Mattia, D. Lodovico Rossi, Notaio Lorenzo Sara, Giacomo Antonio Ferraro, Pasquale Mattia, Nicolò di Ciriaco de Rienzo, tutti dell’Università di detta terra di Paterno, li quali con giuramento alli anzidetti R.R. Sacerdoti, asseriscono in mia presenza, che per maggior culto, e servizio di Dio, e maggior gloria della Beatissima Vergine SS.ma Sua Madre, per memoria de’ posteri, et anche maggiore s’accresca la divozione all’anzidetta Beatissima Vergine, attestano, qualmente sotto il dì dodici del caduto Aprile del corrente anno mille settecento cinquant’uno, essendo venuto in questa anzidetta terra un Giovene di età da circa venti sei, in venti sette anni, muto, e stropio nel braccio destro, et oltre la sperienza in viderlo muto, fù da varij se genuinamente egli era tale, furno fatte le prattiche s’egli andava lemosinando, e chiedendo elemosina per il suo vitto, come doppo informati d’altri forastieri, lo stesso si dimostrava nelle circonvicine terre, che questuando egli giva, per cercare altro suo necessario, solea ponere in carta col rozzo suo carattere farne le domande da più nostri cittadini, curiosi fù veduta la sua lingua, che attratta da nervi ritirata la tenea dentro dell’osofogo, per lo che da tutti fù stimato, com’egli era muto, palesò questo col rozzo suo carattere essere dell’arte di falegnami, e che da tocco apopletico fu privato di lingua, et inservibele il suo braccio; portatosi nella chiesa nel dì sedici di detto Aprile, ove da mastri falegnami si faticava, egli con prendere un’ascia fremento per l’arte sua detta dié realmente a conoscere essere dell’arte prattico, quantunque impedito ne fusse dal maneggiamento d’essa, per l’offesa del braccio, di già descritta; assiso questo nel grado della maggiore chiesa, vedendo di frequente entrare in essa più cittadini divoti, via più frequenti, ivi si portavano se fare la visita, attenti al prescritto del Santo Giubileo, egli il muto, ad ogni uno, che in quell’entrava dava con segni a dimostrare, che pregato havessero il Signore per lui, poscia ginocchiato avanti l’Imagine Gloriosa della Beatissima Vergine sotto il titolo della Consolazione, la di cui Effigie su della tela vedasi depinta, e situato il su’ Altare a man dritta della descritta Maggiore Chiesa, così genoflesso dava a tutti a conoscere la sua fervente orazione, e con sospiri e pianti non cessava le sue suppliche all’anzidetta Gloriosa Vergine; Ritrovandosi nella chiesa suddetta il Sacerdote D. Bonaventura Piccarini, fù da questo a segni chiamato, e con moti, e gesti di mani lo supplicava ad accendere due candele nell’Altare suddetto, il descritto Sacerdote per condescendere alle suddette voglie del medesimo, chiamossi Pasquale Marriello, che è uno de’ Novizij nel Clero, e l’ordinò ad accendere nell’Altare le candele, ed accese, l’anzidetto Sacerdote recitò alla Vergine Sagrosanta la suddetta litania, e questa compita, alzandosi l’anzidetto Sacerdote, egl’il muto con una delle sue mani l’arrestava a starsene con esso, ma perché non spiegavagli perché non poteva, il Sacerdote ritornò a genoflettersi, e con essolui orava, vedendo i profluij di lagrime, sospiri, e pianti, che il muto facea nella fervente sua orazione, ritornò a recitare le litanie alla Vergine, e vidde entrare li Reverendi Sacerdoti D. Tomaso Ricca, D. Nicolò di Amato, e D. Felippo Cobello, li quali pure s’accostarono alla Sagra Imagine, e veduto il muto suddetto che con magno cenato voleva proferir parola s’havesse potuto, fù da detti Sacerdoti stabelito di cantar sollenne le litanie alla Vergine SS.ma, accrescendosi il cenato al muto suddetto nell’osofogo, e nelle labbra eruttò gridando ma’, ma’, magnificat, e questa cantando in due versetti con bona lengua già per l’intercessione della Vergine sciolta seguitarono il salmo suddetto li suddetti Sacerdoti, et altri astanti, seguitando lo stesso il muto suddetto sino all’ultimo, quindi compiuto il salmo proruppe in sì calde espressione: mamma mia, e che più mi volevi far morire; ciò saputosi da più cittadini, e dagli Amministratori dell’Università, e dal Clero tutto, resi tutti confusi dalla gran grazia ricevuta, con suono di campane, e sparo di più mortaretti ringraziarono la Vergine, e nello stesso tempo ferno palese a tutti il portentoso miracolo, che si rese in un subbito la chiesa piena di Gente a ringraziare la Vergine; nello stesso tempo accorse con gran zelo, e divozione insieme, il magnifico Gennaro Cobello, il quale da più mesi era stato infermo, e ridotto quasi nell’estremo per la gravezza del male, che ridotto l’havea a sputare sangue marcioso copia grande, ch’estenuato l’havea; prostatosi questo avanti la Sagra Imagine con faccia a terra cercava dalla Vergine la sua perduta salute, e così piangendo si tolse la ciamberga poggiandola sull’Altare dicea, Signora fatemi la grazia di vivere, già che mi vedo vicino a morte; Si vidde immediatamente cessare il sputo sanguinolento, che continuo tenuto havea, e limpedo quello tramandava, come ha fatto poi in progresso d’altri giorni coll’evidente ricupero di sua salute; Questo non partissi dall’Altare, fé accendere una lampeda alla Gloriosa Vergine, la quale con portentoso prodigio durò questa accesa senza rifondere oglio, anzi che togliendo dalla lampeda stessa molto di esso ad empire carafine di vetro a più divoti, che lo domandavano, durò sempre accesa di circa quaranta ora, non si poté sperimentare il di più, se in questa intelligenza stava il Sacerdote D. Domenico d’Adesa, che per alcun’infratti teneva nella Curia vasate refugiato in chiesa, e tenendo egl’anche il pensiero di rifondere oglio a tutte le lampede della chiesa, et in essa rifosò dell’oglio inavertentemente, il simele fé a tutte, e quante anche a quella apposta nell’Altare della Vergine, che raccontollo il mattino, e di ciò se ne sentì ugual dispiacenza; Accorse a sì fatto miracolo la magnifica Catarina Piccarini, la quale estanuata da flussi di sangue, che di continuo tenea, genuflessa avanti la Sagra Imagine, se ne vidde sana, che decantò il portentoso miracolo a Signori Fisici, e Gente tutta di casa, e del Paese, tutti sì fatti miracoli si viddero nel giorno de venerdì sedici del scorso Aprile dall’ore venti, e mezzo sino alle ventiquattro di detto giorno; Disparsa la nuova de sì fatti prodigij accorsero altri cittadini il dì vegnente, e negli altri susseguenti giorni per le loro infermità non cessò la Vergine Sagrosanta a nostra confusione d’escambio li ricorrenti come se vidde ocularmente, e si vede in uno figliolo chiamato figlio legittimo, e naturale di Gio: Iannuzzo, e Carmena Mastrojacono, il quale sentì disgrazia dalla nascita d’havere il braccio sinistro offeso, e dislogato dal proprio sesto, così cresciuto sino all’età di sette anni in circa, lo tenea inabile ad ogni funzione naturale, ungendosi dell’oglio della lampeda, e cantandosi da’ Sacerdoti la messa, litanie, e magnificat alla Vergine, ricevé la grazia, ed al presente si vede restituito in buona salute il braccio, che perduto havea; Lo stesso accadde a Vittoria Marra, che nella sua fascia cagionatesi nello braccio dritto una posterna, nel curarelo, cavatane dal chirurgo varie ossa, nella sua crescenza della sua età sino a quella, che attualmente si ritrova, che correno l’anni trenta cinque, restò col braccio molto meno dell’altro, e svoltato l’osso del gubito affatto, affatto inservibele di modo che nemeno il segno della sua croce farsi potea col medesimo, confessata, e comunicata in onore della Vergine, non solo si vede il braccio ristabelito, ma l’osso al suo sistema, che fà le sue funzioni naturali non meno che la suddetta croce; confessa questa, che sentisse nella sua fervida preghiera un calore sì acceso nel braccio offeso, che non potea soffrirlo. Sapia Gentile moglie di Crescenzo Lapio sentita una gran flussione nell’occhi cieca che piccolissima cosa ella vedea, ricorsa alla Vergine, ricuperò la perdita veduta, coll’ungersi l’oglio della lampeda della Vergine. Al magnifico Nicolò Braccio abitante casato nella terra di Castello di Franci retrovavasi sequestrato in letto vicino a morire soprafatto da un fisso dolor pleuride, e grave febbre, manefestatosi le stesse grazie della Vergine Santissima, con ungergli l’oglio di sua lampeda, de subbito restagli il dolore, e l’abbandò la febbre, tanto ch’egli doppo alquanti giorni venne a ringraziare la Vergine in haverli esaudito dalla liberazione da i cennati acciacchi. Pur anche dassi più portentosa fù la grazia conceduta a Domenico Farina di Orienza abitante nella terra di Torella, il quale veniva travagliato da più cangrene in ambe due tibie, tanto che havea gonfie a somiglianza, che i diametri laterali erano più di un palmo, tanto vero, che non potea moverle, se non che appoggiato con tutte due le mani ad una piroccola con grossa forza appena potea spaziare piccola distanza, abitato qui per tre giorni, e per lo più dell’ore prostato avanti la Gloriosa Imago disciplinandosi, e spesse fiate domandato da ungersi dell’oglio or da uno, or dall’altro de’ Sacerdoti, nel terzo giorno di sua dimora buttò la piroccola, e tutto festoso della grazia ricevuta della sgonfiezza, et appianate cangrene, la piroccola si conserva all’angolo del suddetto Altare. Angela di Gioia di S.to Angelo all’Esca veniva afflitta, e disformata dalla dislocazione di due ossi, uno quello detto l’osso sagro, in guisa che non potea fare seduta, e l’altro nel cappo in maniera li veniva vietato a far all’impidi, e tanto meno dare un passo; pure non tantosto quivi venuta, e fattasi ungere dell’oglio riacquistò la forma naturale, et andossene via, con farsi a piedi la maggior parte della strada, e presentemente vive sana. Eccessivo favore si confessa dal Dr. D. Pasquale Buono della terra di Chiusano in persona di D. Caterina Giordano sua moglie, la quale afflitta veniva da fiero dolore di cofietezza, e durezza in una delle sue poppe, a segno che con questa da molti giorni non havea potuto mai lattare il figliolo, et oltre a questo acciacco veniva sequestrata a letto da febbre ardente; Richiesto del Sagro oglio, perché già si n’era per il convecino divolgata la fama, non tantosto unta, divenne sana, con lattare in appresso immantinente.

E tanti altri, che per brevità si tralasciano, vi è più ancor fatti, a cui si dall’accertimento lasciato a noi d’Agostino li suddetti, che non mai a bastanza lodar si può la sublimità della Vergine SS.ma, che quanto più si loda, e si manifestano le sue glorie, tanto più resta a lodarsi, e manifestarsi1.

Nel giorno 24 del mese di maggio 1751, in terra di Paterno, il Reverendo Signor Arciprete Don Tomaso Mattia, il Reverendo Signor Don Donato Mastrominico, Il Reverendo Don Tomaso Ricca, il Reverendo Don Giulio Mastrominico, il Reverendo Signor Don Carlo ed il Reverendo Signor Don Ciriaco de Mattia, il Reverendo Don Guglielmo Marra, il Reverendo Don Crescenzo Beneventano, il Reverendo Don Alberto ed il Reverendo Don Nicolò di Amato, il Reverendo Don Paolo Cobelli, il Reverendo Don Domenico Mattia, il Reverendo Don Filippo Cobelli, il Reverendo Don Angelo Conte, il Reverendo Don Antonio Pilosi, il Reverendo Don Bonaventura Piccarini, il Reverendo Don Pasquale Rosanio, il Reverendo Don Domenico Mele, il Reverendo Don Tommaso Petruzziello, il suddiacono Don Giovanni Rosanio sacrestano ed il novizio Pasquale Marriello, nonché gli attuali magnifici Amministratori di questa Università signor don Giuseppe Antonio Rossi, Pietro di Amato ed Antonio Brida, rispettivamente Sindaco ed Eletti al buon governo dell’Università suddetta, e con essi il dottor signor don Marcello Famiglietti; altra gente: don Filippo Campanile della città di Altamura, al momento governatore della suddetta terra, il dottor signor don Gaetano Stefanelli, il dottor signor don Filippo de Martino Musacchi, il dottor signor don Nicolò de Antonelli, il dottor signor Ciriaco Mastrominico, il dottor signor Giuseppe de Mattia, il professore di legge don Pasquale di Geronimo, il professore di legge signor Francesco de Antonelli, il magnifico Michele de Mattia, don Ludovico Rossi notaio, il notaio Lorenzo Sara, Giacomo Antonio Ferraro, Pasquale Mattia, Nicolò di Ciriaco de Rienzo, tutti dell’università di detta terra di Paterno, i quali, con giuramento reso agli anzidetti Reverendi Sacerdoti, asseriscono in mia presenza notaio Nicolò Piccarino ed attestano, per maggiore diffusione del culto, per testimonianza della grandezza di Dio e per maggiore gloria della Beatissima Vergine Sua Madre, nonché per memoria dei posteri ed anche perché cresca maggiormente la devozione per la suddetta Beatissima Vergine, come intorno al giorno dodici dello scorso mese di aprile del corrente anno 1751 fosse venuto in questa anzidetta terra un giovane di circa ventisei o ventisette anni di età, muto e storpio del braccio destro. Non paghe di costatare che egli fosse muto, da parte di molte persone si volle indagare se egli fosse realmente tale, e furono assunte informazioni per sapere se egli andava effettivamente elemosinando, e se si procurasse in tal modo il cibo. Dopo le conferme ricevute da alcuni forestieri, fu chiaro che lo stesso andava questuando per i paesi limitrofi e che, per ottenere quant’altro gli necessitasse, era solito farne richiesta scrivendo su carta con grossolana grafia. Da molti dei nostri cittadini, curiosi, fu osservata la sua lingua che, contratta, appariva rattrappita all’interno dell’esofago, per cui da tutti fu ritenuto, come in effetti lo era, muto. Costui rivelò, con la sua rozza scrittura, di essere pratico del mestiere di falegname e che un colpo apoplettico lo aveva privato dell’uso della lingua e gli aveva reso inservibile il braccio. Il giovane, portatosi in chiesa il giorno sedici aprile, dove erano intenti a lavorare alcuni falegnami, mosso dalla passione per quella sua arte, prese un’ascia dimostrando di conoscere effettivamente il mestiere, sebbene ne fosse impedito per la menomazione del braccio avanti detta. Quindi, sedutosi sui gradini dell’altare maggiore, vedendo entrare in chiesa di continuo molti cittadini devoti, sempre più numerosi, che vi si recavano a far visita in ossequio a quanto stabilito dal Santo Giubileo, il muto, ad ognuno che entrava, rivolgeva cenni di invito affinché avessero pregato il Signore per lui; poi, inginocchiatosi innanzi all’Immagine Gloriosa della Beatissima Vergine sotto il titolo della Consolazione, la cui Effigie si vede dipinta su di una tela al disopra del Suo altare situato alla destra della suddetta Chiesa Maggiore, così genuflesso mostrava apertamente lo sforzo di esternare una fervida preghiera, e con sospiri e con pianti non cessava di rivolgere le sue suppliche alla Gloriosa Vergine. Essendo in chiesa il sacerdote Don Bonaventura Piccarini, fu chiamato a cenni dal muto che, con l’espressione e con gesti delle mani, lo supplicava di accendere due candele sull’altare. Il sacerdote Piccarini, al fine di accondiscendere alle sue richieste, chiamò a sé Pasquale Marriello, che è uno dei novizi, e gli ordinò di accendere le candele. Accese che furono, il predetto sacerdote Piccarini recitò alla Santa Vergine una litania, dopo di che, in procinto di alzarsi, fu fermato con una mano dal muto che lo invitava a restare presso di lui, senza tuttavia spiegargliene la ragione in quanto ne era impedito. Il sacerdote si inginocchiò di nuovo e con lui iniziò a pregare; poi accortosi dell’abbondanza di lacrime, di sospiri e di singhiozzi che il muto emetteva nella sua fervida preghiera, riprese a recitare le litanie alla Vergine. In quel mentre vide entrare i reverendi Sacerdoti Don Tommaso Ricca, Don Nicolò di Amato e Don Filippo Cobello i quali a loro volta si accostarono alla Sacra Immagine e, visto il muto che con grande sforzo (magno cenato) manifestava l’intenzione di parlare, se avesse potuto, deliberarono di cantare solenni litanie alla Vergine Santissima. Crebbe lo sforzo nell’esofago del muto e dalle labbra emise gridando: “ma’, ma’, magnificat”, e proseguì cantando due strofe con chiarezza, giacché la lingua gli si era sciolta per intercessione della Vergine. Continuarono il salmo i suddetti Sacerdoti e tutte le persone presenti, unitamente al muto che lo cantò fino alla fine; quindi, ultimato il salmo, il giovane proruppe in una sì calda espressione: “Mamma mia, era tale il desiderio della guarigione che se Tu non fossi intervenuta, concedendomi la grazia, ne sarei morto!” Saputosi dell’accaduto da molti cittadini, dagli Amministratori dell’Università e dal clero tutto, tutti emozionati per la grazia concessa, con suono di campane e spari di mortaretti ringraziarono la Vergine e divulgarono la notizia del portentoso miracolo, tanto che immediatamente la chiesa fu piena di gente accorsa a ringraziare la Vergine. Con gli altri giunse, mosso insieme da speranza e devozione, il magnifico Gennaro Cobello il quale era ammalato da molti mesi e quasi ridotto in fin di vita per la gravità del male che gli procurava copiosi sbocchi di sangue purulento e lo aveva stremato. Costui, prostratosi al cospetto della Sacra Immagine con la faccia per terra, implorava dalla Vergine il recupero della salute perduta e, piangendo, si tolse il camicione (ciamberga) e deponendolo sull’altare diceva: “Signora, fatemi la grazia di vivere, giacché mi vedo vicino a morire!” Immediatamente si vide cessare lo sbocco sanguinolento che in precedenza era stato ininterrotto, e lo sputo divenne progressivamente sempre più limpido nei giorni successivi ad evidenziare il recupero della sua salute. Costui non si allontanò dall’altare, fece accendere dinanzi alla Gloriosa Vergine una lampada ad olio che, per un portentoso prodigio, rimase a lungo accesa senza che fosse necessario aggiungervi olio, anzi, togliendo molto di esso dalla stessa lampada per riempirne boccette di vetro ai moltissimi devoti che lo richiedevano, rimase accesa circa quaranta ore. Non fu possibile controllare quanto tempo ancora la lampada sarebbe rimasta accesa, in quanto in ciò non ebbe accortezza il Sacerdote Don Domenico d’Adesa il quale custodiva in chiesa dei vasi per il rifornimento delle lampade, avendo egli il compito di aggiungere olio a tutte quelle presenti in chiesa. Inavvertitamente egli ne versò, come fece per tutte, anche in quella posta sull’altare della Vergine. Lo riferì il mattino successivo e di ciò, al pari degli altri, provò rammarico. Accorse, alla notizia di tale miracolo, la magnifica Caterina Piccarini che, stremata da flussi di sangue che l’affliggevano di continuo, inginocchiata dinanzi alla Sacra Immagine, ne fu guarita e rivelò il portentoso miracolo ai signori medici ed a tutta la gente, sia di casa che del paese. Tutti questi miracoli si verificarono nel giorno di venerdì sedici aprile, dalle ore 15,30 sino alle ore 19 . Diffusasi la notizia di tali prodigi, accorsero altri cittadini il giorno seguente e, nei giorni successivi, la Vergine Sacrosanta, con nostra ammirazione, non cessò di esaudire i supplicanti per le loro infermità, come si potette costatare coi nostri occhi, e come tuttora si vede in un bambino che è detto figlio legittimo e naturale di Giovanni Iannuzzo e di Carmina Mastrojacono, il quale ebbe la disgrazia dalla nascita di avere il braccio sinistro offeso e sganciato dal proprio innesto, tanto che, cresciuto sino all’età di sette anni circa, gli era rimasto inabile a qualsiasi naturale funzione. Ungendolo con l’olio della lampada e cantandosi dai Sacerdoti la messa, litanie e il magnificat alla Vergine, ricevette la grazia ed attualmente gli si vede il braccio che aveva perduto tornato in buona salute. Lo stesso accadde a Vittoria Marra a cui, ancora in fasce, si era sviluppata nel braccio destro una escrescenza ossea (posterna). Per curargliela furono estratte dal chirurgo varie ossa, ma nella sua crescita sino all’età che ha attualmente, che è di anni trentacinque, si ritrovò col braccio più corto dell’altro e con l’osso del cubito rivoltato, del tutto inservibile tanto che con esso non poteva farsi neppure il segno della croce; confessata e comunicata in onore della Vergine, non solo si vede il braccio riabilitato, ma anche l’osso tornato nella giusta posizione, tanto che assolve le sue funzioni naturali e le consente di farsi il segno della croce. Costei rivela di aver avvertito durante la sua fervida preghiera un calore sì forte nel braccio offeso che non riusciva a sopportarlo. Sapia Gentile, moglie di Crescenzo Lapio, avvertita una forte pressione negli occhi, si ritrovò cieca tanto che a malapena vedeva qualcosa. Supplicata la Vergine, con l’ungersi dell’olio della Sua lampada, recuperò la vista perduta. Il magnifico Nicolò Braccio, trasferitosi e quindi abitante nella terra di Castelfranci, giaceva immobilizzato nel letto prossimo alla morte per una dolorosa pleurite e febbre altissima. Manifestatasi la grazia della Vergine Santissima con l’unzione dell’olio della Sua lampada, egli dopo alcuni giorni venne a ringraziare la Vergine per averlo liberato dai suddetti malanni. Ma forse la più portentosa fu la grazia concessa a Domenico Farina di Orienza, abitante nella terra di Torella, afflitto da cancrena ad entrambe le tibie al punto da risultare parimenti gonfie per un diametro di spessore superiore ad un palmo, tanto da non poterle muovere e da riuscire a malapena ad effettuare brevi spostamenti con grande sforzo ed appoggiato con entrambe le mani ad un bastone. Trasferitosi qui per tre giorni, e ponendosi per la maggior parte delle ore prostrato dinanzi alla gloriosa Immagine, e chiedendo di essere unto con l’olio ora dall’uno, ora dall’altro dei Sacerdoti, nel terzo giorno della sua permanenza buttò il bastone, felice per aver ricevuto la grazia della scomparsa del gonfiore e della guarigione dalla cancrena. Il bastone si conserva in un angolo del suddetto altare. Angela di Gioia di Sant’Angelo all’Esca era afflitta e deformata per la dislocazione di due ossa, uno quello detto osso sacro, per cui era impedita dal soddisfare seduta i propri bisogni, e l’altro coccigeo, in modo che non poteva provvedervi in posizione eretta, né tantomeno poteva muovere alcun passo; da poco qui giunta e fattasi ungere con l’olio, riacquistò la forma naturale e se ne tornò via percorrendo a piedi la maggior parte di strada. Tuttora vive in perfetta salute. Grande riconoscenza si manifesta dal dottor don Pasquale Buono della terra di Chiusano per la grazia concessa a donna Caterina Giordano sua moglie la quale era afflitta da lancinante dolore causato da gonfiore e durezza di una sua mammella, tanto che con essa non aveva potuto per molti giorni allattare il proprio figlio, ed inoltre era costretta a letto da febbre altissima. Richiesto il Sacro olio, poiché per le terre vicine se ne era divulgata la miracolosità, non appena ne fu unta guarì e subito dopo riprese ad allattare. E tanti altri miracoli, che per ragioni di brevità si trascura di elencare, sono stati fatti, ed a noi d’Agostino si è dato incarico di accertarli, poiché non è mai abbastanza il lodare la sublimità della Vergine Santissima, e tanto più si loda, e si manifestano le Sue glorie, tanto più sopravanzano le ragioni per lodarLa e per manifestarle.

Della grazia ricevuta da Angiola di Gioia sentirono il dovere di rendere testimonianza anche l’arciprete, il sindaco e gli Eletti di Sant’Angelo all’Esca che ne sottoscrissero l’attestazione il 19 maggio 17511.

Si seppe, successivamente, che il giovane a cui il 16 aprile era stata concessa la grazia della parola rispondeva al nome di Gianbattista di Amato ed era originario della terra di Benevento2.

Paterno divenne meta di infermi e di pellegrini con notevoli vantaggi per l’economia dell’intera università. Venditori ambulanti e questuanti, provenienti da ogni dove, affollavano ad ogni ora la piazza. Traboccavano di ogni genere di mercanzia i negozi che aprivano su di essa e vi prosperavano le botteghe artigiane, di cui ben quattro di proprietà di don Giuseppe Antonio Rossi il quale possedeva quasi l’intero stabile che della piazza delimitava il lato ovest, avendogli suo zio don Carlo ceduto la propria parte con disposizione testamentaria del 17 giugno 17443.

I prodigi si succedevano con inaudita frequenza, alimentando stupore e commozione. La loro eco raggiungeva terre lontane, riaccendeva la speranza nei sofferenti, quotidianamente richiamava, in gruppi familiari o in interminabili processioni, folle di fedeli desiderose di rendere omaggio alla Vergine Santissima della Consolazione.

Se per un verso l’eccezionale afflusso di devoti inorgogliva gli amministratori ed il popolo, per l’altro non mancava di causare una sorta di disagio per le miserevoli condizioni in cui versava la chiesa. Si convenne, alfine, che era indispensabile renderne più decoroso almeno l’altare maggiore e mastro Agostino Chivola, avutone notizia, si presentò spontaneamente in Paterno allo scopo di assicurarsi il lavoro. L’uomo era già noto per aver realizzato l’altare della chiesa della vicina università di Luogosano, e ciò ne facilitò i contatti con il sindaco e con gli Eletti Luca Beneventano e Domenico Conte.

A conclusione di complesse trattative, il 23 ottobre 1754 si costituirono presso il notaio Nicola de Rienzo Agostino Chivola mastro marmoraro della città di Napoli ... e Nicola Toraca attuale Sindaco di questa terra di Paterno, ... dovendo esso magnifico Sindaco ... fare l’Altare Maggiore, una colle due portelle in semetria, a latere di detto Altare, dentro la Chiesa Madre di questa predetta terra sotto il titolo di S. Nicolò de Bari, per maggiore decoro, e polizia di detta Chiesa.

L’artigiano si impegnava nella fattura del medesimo per lo prezzo di docati duecento ottantasei, quale Altare s’obliga farlo di marmo di buona, et ottima perfezione, anzi di intrecciatura migliore di quello della terra del Cossano, e dell’istessa quantità, e qualità; quale s’obliga a farlo, e situarlo per tutto il mese di aprile dell’entrante anno 1755; e similmente detto magnifico Agostino impone la fattura delle due portelle a latere del detto Altare, a semetria del medesimo con tre palmi di vacanza (apertura) e l’altezza rotonda, in proporzione dell’Altare, con poterci porre sopra fiori, e le statue ancora, quale due portelle s’obliga di farle per il prezzo di docati ottanta, e le dette due portelle debbiano essere a due faccia.

Si stabilì altresì che tutto il trasporto occorrerà da Napoli in Paterno di detto Altare, e portelle, vada tutto a conto, e carrico di esso magnifico Agostino.

Dal canto suo, il sindaco assumeva con l’artigiano l’impegno di darli casa, e letto per tutto il tempo necessario al completamento dell’opera1.

Un rinnovato fervore religioso pervadeva il popolo di Paterno. Si costituì la Congregazione della Carità sotto l’auspicio del Santissimo Sacramento, con sede entro la chiesa di San Sebastiano, all’uopo concessa dai locali governanti previo parere favorevole della popolazione convocata in pubblico parlamento.

Lo statuto, redatto dal notaio Lorenzo Sara, fu inoltrato al re per la prescritta approvazione, con petizione sottoscritta, con firme autografe, da Marcello Famiglietti, Don Tommaso Famiglietti, Pasquale Vovola, Nicola Giliberto, Gennaro Nuzzetti, Pasquale di Mattia, Pasquale Volpe, Vincenzo della Terza, Nicodemo Jorio, Giuseppe Passsero e Amato Passero e, con segno di croce, da Pasquale Jorio, Antonio Rosa, Gennaro Vicco, Silvestro di Leo, Pasquale Cantarella, Carlo Modestino, Nicola Mastromarino e Pasquale Maffei. Re Carlo III di Borbone concesse il regio assenso in data 22 luglio 17562.

Si succedevano intanto i miracoli ad opera della Vergine e cresceva l’affluenza dei pellegrini. Ciò stimolava l’orgoglio dei governanti e del popolo, spronandoli a rendere al meglio l’immagine del paese. Si tinteggiavano le case e si poneva un’insolita cura nella manutenzione delle strade interne. Nell’anno 1756 Giuseppe Antonio Rossi, che poteva oltretutto contare sui proventi del fitto delle quattro botteghe in piazza e di una taverna nei pressi della fontana della Pescarella, provvide a ristrutturare il complesso edilizio che costituiva la propria dimora, conferendogli aspetto gentilizio con ampio cortile e gradinata di accesso al piano superiore.

costante si manteneva pure l’impegno di rendere la chiesa madre più degna della miracolosa Immagine che in essa albergava. Il 10 settembre 1756, alla presenza del notaio Giuseppe di Natale, li mastri Francesco, e D. Nicola Russo Pittori Napoletani ... e il Magnifico D. Francesco Antonelli Primo Eletto al buon Governo della Terra di Paterno ... sono venuti a determinamento di pitturare le sei soffitte delle sei Cappelle, dentro la maggiore chiesa sotto il titolo di San Nicolò, vale a dire tutti i sei vani delle nave (navate) picciole di detta Chiesa: che la pittura debba mandarsi in effetto nella miglior maniera che l’arte somministra a detti Signori de Rossi, e giusta il borro, o sia abbozzamento di disegno ... col obligo parimenti che il quatro che rattrovasi fatto dal fù mastro Felippo Gentile nel mezzo della soffitta della Cappella sotto il titolo di S. Maria di Consulazione, perché veggiasi alquanto informe, si debba dare qualche attengitura di loro mano, e ridurlo in concerto in una unica idea di tutta l’opera ... E incumbenso (in compenso) di detta opera detto Magnifico Governante si obliga a pagare docati cento sissanta in moneta di argento corrente, delli quali docati quaranta si obliga pagare esso Magnifico Governante presenzialmente (subito) perché detti Signori de Rossi possino comprare il materiale, e tela, quali tutti vanno a loro spese; e altri docati quaranta da somministrarli da tempo in tempo e fino faticherando (la somma restante in rate di ducati quaranta ciascuna da corrispondere nel tempo fino al completamento del lavoro)1.

Nell’anno 1759 re Carlo III di Borbone fu chiamato a succedere sul trono di Spagna al fratellastro Ferdinando VI, e lasciò quindi il regno partenopeo a suo figlio Ferdinando I che assunse il titolo di IV re di Napoli. Costui affidò il governo ad un consiglio di reggenza guidato dal toscano Bernardo Tanucci, a cui è da ascrivere il merito delle molte riforme intese a contenere i privilegi feudali e soprattutto ecclesiastici.

Intanto in Paterno erano stati ultimati gli affreschi alle soffitte delle cappelle all’interno della chiesa di San Nicola, ma non tutta la cifra pattuita era stata pagata. I pittori Russo, indicati nel contratto d’appalto col nome di de Rossi, vantavano tuttora un credito di settanta ducati che avrebbero dovuto loro corrispondere i Procuratori di due delle maggiori cappelle. Fu così che, il 6 ottobre 1759, ad istanza di Amato Passaro, e a nome delli Signori Pittori D. Francesco, e D. Nicolò Russo Napolitani, furono incusati (citati) nella Corte della terra di Paterno ... per docati quaranta Gio: Beneventano, come passato Priore della Cappella di A.M.G.P. ... per docati venti Saverio Garofano, come Procuratore del SS.mo Corpo di Cristo ... per docati dieci Nicolò Iorio, come passato Procuratore della Cappella del SS.mo Corpo di Cristo2.

Ammontava a trenta ducati dunque il debito della cappella del Corpo di Cristo ed il nuovo procuratore, Antonio di Mattia, non disponendo della somma, l’8 febbraio 1760 pervenne con Amato Passaro, rappresentante legale dei pittori Russo, al compromesso di apsignarli due abitacoli di casa in sottano e soprano, siti, e positi nel tenimento di detta terra, luogo detto S. Sebastiano3.

Anche il feudatario di Paterno, il duca d’Andria Ettore Carafa, aveva voluto manifestare la propria profonda devozione con l’inviare, nell’anno 1761, alla Miracolosissima Regina del Cielo, sotto il titolo della Consolazione, Cappella eretta dentro la Maggiore Chiesa, l’intero cristallo, per quanto è l’estensione del quadro di detto Altare, con spesa maggiorata anche di cornice indorata4. Il dono era ricordato nell’iscrizione sul lato inferiore della stessa cornice, tramandataci dal sacerdote Don Giuseppe De Rienzo: VERGINI. CONSOLATIONIS. HECTOR. CARAFA. XV. DUX. ANDRIAE. REGNI. SINISCALCUS. AERE. SUO. ANIMIQUE. OBSEQUIO. P. D. ANNO. MDCCLXI5.

Alla Vergine della Consolazione, Ettore Carafa, XV duca d’Andria, Siniscalco del regno, nella sua sede e con umiltà d’animo pose nell’anno del Signore 1761.

Ma il prezioso ornamento, contrariamente alle intenzioni del donante, risultò disarmonico nell’insieme improntato a vetustà e squallore, per cui, perché in detta Cappella ritrovasi l’Altare malfatto di poca veduta, e non a proporzione di detto quadro sopra, ben presto fu opinione diffusa che bisognasse sostituirlo con altro più degno della grandiosità della Madre della Consolazione. Così, essendovi in detta Chiesa un Altare di ottima veduta, e di notabil valore, che stava prima in luogo dell’Altare Maggiore, si pensò di utilizzarlo, adattandone gli elementi allo spazio più contenuto della cappella della Vergine. Ma alcune considerazioni indussero ben presto ad abbandonare tale idea, sia perché per ridursi da grande in picciolo ed altro ci vuole molta spesa, sia perché per ridursi ad una tale perfezione da grande in picciolo correva il pericolo di frangersi in pezzi, sia alfine perché levando detto Altare dalla Cappella della Consolazione, questo rimarrebbe inutile per detta Università.

Una soluzione soddisfacente fu prospettata da don Giuseppe Antonio Rossi il quale mostrò interesse, ove fosse stato dismesso, per l’altare della cappella di Maria Santissima della Consolazione, essendone la propria sprovvista. Così, il 3 dicembre 1761, con atto redatto dal pubblico notaio Giuseppe di Natale, i governanti di Paterno Berardino Cappetta e Gaetano di Stefano di Rienzo sono venuti a convenzione di concedere al detto D. Giuseppe Antonio Rossi (l’altare della cappella della Consolazione), per ponerlo nella di lui Cappella di Santa Maria della Pietà, a mano dritta della Consolazione dentro della detta Chiesa Matrice, con obligo che il detto D. Giuseppe presente debba a sue proprie spese far comporre lo Altare Maggiore, dal grande farlo ridurre a quella misura che richiede la simitria della Effigia miracolosissima di S. Maria di Consolazione, doppo composto farlo ivi piantare, e tutto, e quanto richiede per l’integrità della opera, anche se vi mancassero pezzi di pietra debbono andare a conto suo, altresì se ci soverchiassero pezzi, restino a beneficio di detto D. Giuseppe1.

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Grazie ai continui interventi migliorativi, già nel 1762 la chiesa maggiore di Paterno, con gli affreschi alle volte e gli altari completamente rifatti, si avviava ad essere quel luogo di culto degno della fama a cui la Vergine Misericordiosa della Consolazione aveva voluto elevarlo.


8 Francesco Sacco: Dizionario geografico, istorico, fisico del Regno di Napoli - Napoli 1796.

9 Archivio della Parrocchia di San Nicola di Paternopoli - Registri dei battezzati.

1 Giudice civile. Letteralmente “maestro d’atti”.

2 Archivio di Stato di Avellino - Protocolli notarili, Distretto di Sant’Angelo dei Lombardi: Notai di Paternopoli - Fasc. 1902.

3 Archivio della Parrocchia di San Nicola di Paternopoli - Registri dei morti.

4 Archivio di Stato di Avellino - Protocolli notarili, Distretto di Sant’Angelo dei Lombardi: Notai di Paternopoli - Fasc. 1890.

1 Archivio di Stato di Avellino - Protocolli notarili, Distretto di Sant’Angelo dei Lombardi: Notai di Paternopoli - Fasc. 1888.

1 Archivio di Stato di Avellino - Protocolli notarili, Distretto di Sant’Angelo dei Lombardi: Notai di Paternopoli - Fasc. 1888.

1 Archivio di Stato di Avellino - Protocolli notarili, Distretto di Sant’Angelo dei Lombardi: Notai di Paternopoli - Fasc. 1888.

2 Archivio della Parrocchia di San Nicola di Paternopoli - Trascrizione manoscritta, a tergo di un libro sacro dell’epoca, di testimonianza resa dal reverendo Don Bonaventura Piccarini.

3 Archivio privato del prof. Giovanni Maccarone di Paternopoli - Libro di memoria da me Dr. D. Carlo Rossi ridotto in questa forma, essendo l’antico roso, in questo corrente anno 1801.

1 Archivio di Stato di Avellino - Protocolli notarili, Distretto di Sant’Angelo dei Lombardi: Notai di Paternopoli - Fasc. 1905.

2 Regole della Congregazione della Carità sotto l’auspicio del SS. Sacramento - Tipografia Piazza Gerolomini, 111 - Napoli.

1 Archivio di Stato di Avellino - Protocolli notarili, Distretto di Sant’Angelo dei Lombardi: Notai di Paternopoli - Fasc. 1900.

2 Archivio di Stato di Avellino - Protocolli notarili, Distretto di Sant’Angelo dei Lombardi: Notai di Paternopoli - Fasc. 1900.

3 Archivio di Stato di Avellino - Ibidem.

4 Archivio di Stato di Avellino - Protocolli notarili, Distretto di Sant’Angelo dei Lombardi: Notai di Paternopoli - Fasc. 1901.

5 Giuseppe De Rienzo: Notizie storiche sulla Miracolosa Effigie di Maria SS. della Consolazione, precedute da un saggio istorico sulla terra di Paterno - Napoli 1821.

1 Archivio di Stato di Avellino - Protocolli notarili, Distretto di Sant’Angelo dei Lombardi: Notai di Paternopoli - Fasc. 1901.

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