A proposito di Migranti

La storia di Paternopoli è anche storia di lunghissima tradizione di emigrazione e dai nostri genitori abbiamo ascoltato spesso racconti di viaggi della speranza in Francia, in Svizzera o più semplicemente a Milano e, credo, che nel nostro profondo abbiano lasciato un senso di “nomadismo” per cercare migliori occasioni di vita. La storia di Paternopoli racconta di una Comunità che, quando la casa di qualcuno brucia, si attiva per spegnere il fuoco e proteggere le vittime. E’ sempre stato così, soprattutto nei paesi di “campagna”. L’attenzione a chi ci vive vicino, la capacità di sostenere chi è più fragile, accorgerci delle fatiche che ci affiancano, proteggere il più debole –in una parola potremmo ben dire “cooperare”– ha, di fatto, garantito non solo la sopravvivenza ma anche il benessere dei nostri territori di “campagna”. Accade che Paternopoli si sveli come un paese che ha scommesso sull’accoglienza di migranti. Il paese pullula di giovani di razze differenti, di colori e di religioni diversi. Abbiamo una forte presenza di migranti. Ed è necessario fare chiarezza. C’è una scuola di pensiero che immagina che bisogna dare alle ”fiamme” il concetto di accoglienza, quasi come a dire “bruciamo la casa del vicino”. Diciamo no perché se c’è una cosa di cui possiamo andare fieri e che rende davvero speciale il nostro territorio, è quella che potremmo chiamare in estrema sintesi la “cultura di campagna”. Quella che vede la fatica come presupposto di ogni successo, che trova nella coesione la forza di una comunità, che suggerisce di badare alle cose importanti, che impone rispetto per la natura perché con essa ci convive profondamente. E, sopra ogni cosa, quella che, in caso di bisogno, ci fa correre a dare una mano. Il pensiero che “si dia alle fiamme il concetto dell’accoglienza” deve preoccuparci soprattutto perché c’è pericolo di minacciare alla base uno dei capisaldi della nostra comunità: la capacità di mettere in protezione e dunque in salvo chi fugge dalla casa in fiamme. Vedete, non è in gioco la sopravvivenza dei tanti migranti (loro il peggio l’hanno già passato, sono già dei sopravvissuti), ma la nostra stessa umanità, la nostra identità, la nostra fierezza di persone che amano il proprio territorio e la propria comunità. Però altrettanto chiaramente e con risoluzione diciamo che in tema di migranti deve prevalere l’accoglienza sì, l’integrazione sì, ma anche e soprattutto e la sicurezza. E pensiamo sia giusto e nobile puntare a questi obiettivi, perché riteniamo che prima dell’accoglienza e dell’integrazione sia oggi necessario e urgente attivare il sentimento della “protezione” che in cifra significa anche “sicurezza” per la comunità che li accoglie. Chi è in pericolo, ancor prima che accolto e integrato, va protetto. Non può essere lasciato davanti all’uscio chi cerca salvezza. E non importa se la sua fuga è originata dalla guerra o dalla fame. A pari condizioni ognuno di noi si metterebbe in marcia. Dunque il punto oggi è questo. La casa del nostro vicino brucia. Ci chiede protezione. Sappiamo bene che è nostro dovere, verso noi stessi innanzitutto, aprire la porta. Sappiamo bene che chiuderci in un recinto sempre più fortificato, ci renderà aridi e più soli. Sappiamo bene, tra l’altro, che se non apriamo la nostra porta, rischierà di bruciare anche il nostro fienile. E’ urgente che la nostra comunità dia in questo senso segnali chiari e inequivocabili. Che ogni comunità faccia la propria parte. Che ognuno di noi faccia la propria parte. E chi pensa di dividere con l’odio, fomentando “durezza” e “diffidenza”, chi strumentalizza per ragioni di “consenso”, chi invita a chiudere le porte, sia, “il nostro straniero”. Perché noi non ragioniamo così: noi siamo “gente di campagna”. E’ quindi urgente assicurare che in tema di migranti devono coesistere accoglienza, integrazione, sicurezza. Questa è la sfida. Questo significa fare chiarezza.
Mario Sandoli
per la nascente Associazione politico-culturale “Il Gabbiano”

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