A proposito: 36 anni fa la terra sussultò. Chiediamo scusa

23 novembre 1980. L’Irpinia trema per 90 interminabili secondi. Tanti i morti, ancor di più i feriti e un immenso popolo di sfollati: questo il drammatico bilancio. Interi paesi rasi al suolo. 36 anni dopo, è ancora vivo lo straziante ricordo, entrato ormai a far parte della memoria collettiva. Ore 19,35. Ricordiamo bene. Un caldo fuori stagione. Al Partenio giocava l’Avellino. Qualcuno era a messa. Da poco, in modo del tutto casuale ed è il caso dire, fortunato, rientravamo da S. Angelo dei Lombardi. Sembrava una sera qualunque. Poi il terremoto. Novanta interminabili e distruttivi secondi. Sentimmo un devastante boato che ancora oggi riecheggia in tutti noi che vivemmo quel giorno maledetto. Un ricordo straziante che ormai appartiene alla memoria collettiva di questa terra. Macerie ovunque. Interi paesi rasi al suolo. Un inviato de l’Espresso all’epoca titolava, “ho visto morire il Sud”. Seguì confusione e mancanza di coordinamento. I soccorsi vennero a rilento. Pertini, l’indimenticabile Presidente, indignato, denunciò inadempienze e profeticamente in un accorato appello a tutti gli italiani inveì contro ogni tipo di speculazione. Il Mattino del 26 novembre del 1980 titolò “Fate presto”. Seguì il tempo della solidarietà. Poi venne il tempo della ricostruzione, della speculazione e delle polemiche. Anche Paternopoli sussultò. Poi si ricostruì. Una valanga di cemento invase il paese distruggendo simboli, luoghi e memoria. Noi fummo incaricati di ridisegnare il volto nuovo di Paternopoli. Ci mettemmo entusiasmo e amore. Ne venne fuori qualcosa che ancora oggi grida vendetta. Non ci fu consentito di far capire quello che volevamo e quanto era necessario: conservare storia e identità. Non ci fu permesso di spiegare. Ricordiamo bene. Ci furono pressioni che asfaltarono il nostro modo di pensare e così trasferimmo su carta una Paternopoli che non ci apparteneva. Ce ne assumiamo tutta la responsabilità e, anche se, varrà poco cosa, il risultato che ne venne fuori fu quello che la politica volle e non noi. Ci sentiamo ancora oggi umiliati come uomini e come professionisti. Chiediamo scusa. Ora è passato molto tempo. Ma, il senso di smarrimento di fronte a quello che accadde e a quello che non riuscimmo a fare, non è diminuito. Per niente. Proprio perché quel 23 novembre si è consumata una tragedia dalle molteplici sfaccettature, come morti e soccorsi inadeguati, cui seguì una ricostruzione infinita, incoerente, distruttiva di luoghi e memorie per colpa di una classe dirigente priva di una direzione se non quella della cassaforte. Con un risultato dagli effetti devastanti: la sfiducia infusa a un’intera generazione, cresciuta tra disagi, con la navigazione a vista e la sensazione di abbandono delle Istituzioni. Chi volesse capire cosa è realmente tuttora il terremoto qui a Paternopoli, dovrebbe visitare questa terra e le cicatrici lasciate. I luoghi, anche se ricostruiti, non tutti ricostruiti, possono svelare cosa è davvero accaduto in quella sera.


Mario Sandoli
per la nascente Associazione politico-culturale “Il Gabbiano”

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