Due domande in questi giorni di festività e commemorazione

Ci prepariamo, come ogni anno, a celebrare la festività di “Tutti i Santi” e a ricordare i nostri “Morti”. La festa di “Tutti i Santi”, si sa, è una giornata di gioia, di speranza, di fede. Sicuramente una delle giornate più pensanti, più raffinate che la liturgia ci propone; è la festa di tutta l'umanità, dell'umanità che ha sperato, che ha sofferto, che ha cercato la giustizia, dell'umanità che sembrava perdente e invece è vittoriosa. E’ la festa di “Tutti i Santi”, non solo di quelli segnati sul calendario e che veneriamo sugli altari, ma anche di quelli che sono passati sulla terra in punta di piedi, senza che nessuno si accorgesse di loro, ma che nel silenzio del loro cuore hanno dato una bella testimonianza di amore a Dio e ai fratelli, forse parenti nostri, amici, forse nostro padre, nostra madre, umili creature, che ci hanno fatto del bene senza che noi neppure ci accorgessimo. E subito dopo ricorderemo i nostri Morti. La morte. Pensate, la vita umana può essere paragonata “all’onda che il vento spinge sul mare e che avanza vorticosamente senza sapere su quale spiaggia andrà a infrangersi”; paragonata a “una candela prossima a esaurirsi”. E tanto fa paura. E per fortuna abbiamo un percorso giusto per comprendere. Il Cristianesimo non si fa strada nelle coscienze con la paura della morte, ma con la morte di Cristo. Gesù è venuto a liberare gli uomini dalla paura della morte, non ad accrescerla. Ma come ha vinto la morte Gesù? Non evitandola o ricacciandola indietro, come un nemico da sbaragliare, ma subendola, assaporandone tutta l’amarezza. Ha provato, come noi, “paura e angoscia” di fronte alla morte. Che cosa è successo, una volta che Gesù ha varcato la soglia della morte? L’Uomo mortale nascondeva dentro di sé il Verbo di Dio, che non può morire. Una breccia è stata aperta per sempre attraverso il muro della morte. Grazie a Cristo, la morte non è più un muro davanti al quale tutto s’infrange; è un passaggio, cioè una Pasqua. È una specie di “ponte dei sospiri”, attraverso il quale si entra nella vita vera, quella che non conosce la morte. Anche qui a Paternopoli, festeggeremo “Tutti i Santi” e si ricorderanno i nostri “Morti”. E il tutto ci invita a porci delle domande cui non possiamo né dobbiamo allontanare. La prima: «dov’è Abele, tuo fratello?», dov’è il tuo fratello che soffre?, dov’è il tuo fratello che sta male?, dov’è il tuo fratello che parla una lingua diversa dalla tua?, dov’è il tuo fratello povero?. È una domanda che interroga uomini e donne che hanno dimenticato l’altro, tutti concentrati e preoccupati solo per se stessi. È una domanda che interroga società intere, i popoli del benessere nei confronti di quelli del terzo mondo. “Dov’è Abele tuo fratello?”. La risposta più normale, e anche la più diffusa, resta quella di Caino, non il più cattivo, ma colui che cura “naturalmente” solo i propri interessi – e in chi cura esclusivamente i propri interessi c’è sempre un inizio di omicidio dell’altro – e la risposta di Caino è: «Sono forse il guardiano di mio fratello?”. Il tentativo dell’uomo di curare i propri interessi, che diviene quello di comprarsi la primogenitura, trasforma il fratello in un estraneo, anzi in un nemico da temere. S’interroghi, Paternopoli: “Dov’è Abele tuo fratello?”. Seconda domanda: dov’è la solidarietà? La solidarietà deve essere vissuta come condivisione delle gioie e delle speranze, delle tristezze e delle angosce di tutti, ma particolarmente dei poveri, dei diversi. La solidarietà si accompagna alla simpatia per le speranze e per le tristezze dell’altro. La solidarietà non è sostituirsi alle istituzioni, ma vivere vicino ai poveri, anzi considerarli nostri amici, fratelli, insomma come parenti. La solidarietà deve essere una dimensione del vivere, il riconoscimento insomma che c’è un destino comune tra i meno poveri e i più poveri, l’affermazione nella nostra esistenza di una fraternità che i circuiti sociali vengono a negare. Si è fratelli non per legami di sangue ma perché accomunati da uno stesso destino e, soprattutto, perché si prende sul serio e anche in questa seconda domanda prende ancora più forza la prima domanda, “Dov’è Abele, tuo fratello?”. Prevalga, quindi, la cultura della solidarietà che, giova rilevarlo, è anche risposta critica di fronte all’affermazione violenta e diffusa nelle nostre società contemporanee, quella dell’egoismo” come valore guida. La cultura della solidarietà, invece, è una riserva d’interesse e di passione per un mondo che è fuori dall’attenzione, considerato diverso, e che in fondo conta e pesa poco. C’è bisogno, invece, del valore eccezionale di una presenza amica vicino alla sofferenza, capace di accompagnare, di guarire e di consolare tutti, diciamo tutti indistintamente. Paternopoli si interroghi. Paternopoli tutta risponda con atti concreti.


Mario Sandoli
per la nascente Associazione politico-culturale “Il Gabbiano”

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